L’uso dei sottoprodotti dell’agricoltura nei mangimi animali può permettere un risparmio ecologico e una via diversa per l’ecosostenibilità ambientale.
Anche Lacoste dice basta all’angora
La casa d’abbigliamento francese ha deciso di non produrre più capi in lana di angora e ha chiesto di essere inserita nella lista della Peta delle aziende cruel-free.
Perfino dietro un caldo e morbido maglione possono celarsi crudeltà inimmaginabili. Parliamo dei capi di abbigliamento realizzati con lana d’angora, un tipo di lana molto richiesta che viene prodotta con il pelo del coniglio d’angora.
Un video girato nel 2013 dall’associazione animalista Peta ha mostrato l’orrore che sta dietro questo mercato, attraverso le immagini di un allevamento cinese nel quale ai conigli viene brutalmente strappata la pelliccia mentre sono ancora vivi e coscienti. Proprio dagli allevamenti cinesi si approvvigionano molte delle grandi aziende d’abbigliamento europee che dopo lo scandalo hanno iniziato a correre ai ripari.
Numerosi marchi hanno rinunciato all’uso della lana d’angora, tra questi ci sono H&M, Calvin Klein, Tommy Hilfiger, Puma e Victoria’s Secret. A queste aziende si aggiunge Lacoste che ha dichiarato la rimozione di tutti i prodotti di lana di angora e ha chiesto di essere aggiunta alla lista di Peta dei rivenditori cruel-free. “Come parte della politica di responsabilità sociale, possiamo confermare che Lacoste non ha in programma di utilizzare fibre di angora nelle sue prossime collezioni”, si legge in una nota della società francese.
La notizia è stata accolta con favore dalla Peta che invita anche gli altri marchi che ancora contribuiscono a questa crudeltà a seguire questa strada. “La produzione di fibre di angora è crudele e Peta invita i pochi rivenditori rimanenti, tra cui Benetton, a imparare dall’esperienza di Lacoste e a dimostrare che la crudeltà verso gli animali non trova posto nei loro negozi – ha affermato Mimi Bekhechi, direttore di Peta. – Non c’è alcun modo per ottenere l’angora in modo responsabile e questa è la ragione per la quale molte società si sono orientate verso tessuti etici, ottenuti senza bisogno degli animali».
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