Australia e Tuvalu confermano l’intenzione di adottare il primo trattato al mondo che concede asilo climatico. Ma c’è ancora un ostacolo da superare.
Al Capolinea. Gli oceani senza più pesce
Un documentario che tutti dovremmo vedere. La pellicola diretta da Rupert Murray, denuncia il costante declino delle specie ittiche negli ultimi 50 anni. Spingendo lo spettatore a riflettere e a fare una scelta.
Lo scenario mostrato è apocalittico e allo
stesso tempo impensabile fino a qualche tempo fa: se la pesca
industriale continua ai ritmi di oggi, nel 2048 non ci
sarà più pesce che nuoterà negli
oceani.
Dati supportati da anni e anni di ricerche da
parte di biologi, esperti del settore e dagli stessi pescatori, che
sempre più spesso si ritrovano con le reti vuote. La
specie simbolo della decadenza è il
tonno rosso, rinomata, la più richiesta e la più
cacciata. E ridotta ormai in via d’estinzione. Ma
la lista continua con squali, salmoni e tutta la famiglia dei
tonni.
Ma sugli scaffali dei supermercati – fresco o congelato – e nelle
pescherie, si continua a trovare di tutto e tutto
l’anno, in barba a divieti e fermo pesca, alle taglie dei piccoli
pesci (spesso pescati troppo giovani), o alla loro provenienza.
pesce in Asia.
Le immagini del film parlano
chiaro e non lasciano dubbi: la tecnologia si è così
evoluta negli ultimi cinquant’anni che gli abitanti del mare
non hanno più armi per difendersi, non esiste
alcun luogo dove possano nascondersi. Navi e reti arrivano ovunque
e la guerra la stanno perdendo loro, rischiando di
scomparire.
L’autore della pellicola è però
ottimista: è necessaria una presa di posizione
chiara, decisa e di pensare a un periodo di
transizione, di fermo pesca per ridare una boccata
d’ossigeno al mare. Creare quindi aree protette
monitorate costantemente dove la pesca sia
proibita.
Esempi di come questa sia una strada percorribile vengono da Paesi
che da sempre vivono di pesca, come la Nuova Zelanda e
l’Alaska, dove oggi pescare significa innanzitutto
seguire le capacità riproduttive dello
stock ittico, rispettandone i ritmi vitali.
Una parte importantissima ce l’ha poi il
consumatore, che può o meno influenzare il
mercato e questo tipo di pesca insostenibile. Dal
pescivendolo al ristorante, è fondamentale prendere coscienza
di cosa stiamo acquistando, informandoci – ad esempio utilizzando la
guida stilata da Slowfish – se e quanto una specie sia
minacciata.
Gli strumenti ce li abbiamo tutti e non ci sono più scuse. Ora
tocca a noi.
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