L’economia circolare è la via per gli obiettivi di Parigi

Puntare sull’economia circolare è indispensabile per rispettare l’Accordo di Parigi. In caso contrario, potremo arrivare al massimo a metà strada.

Con l’Accordo di Parigi, 195 Paesi si sono impegnati a limitare a 2 gradi centigradi l’aumento globale della temperatura. Si stima che, per restare entro gli 1,5 gradi, si debbano tagliare le emissioni di 26 miliardi di tonnellate di co2 equivalente entro il 2030. Ma gli studi condotti per l’Unep (Programma per l’Ambiente delle Nazioni Unite) dicono che, anche se tutti gli Stati che hanno partecipato alla Cop21 mantenessero i loro impegni, riuscirebbero ad arrivare al massimo a metà strada, sforbiciandone al massimo 11-13 miliardi. La strada per coprire l’altra metà si chiama economia circolare. Lo afferma un report pubblicato dalla società di consulenza Ecofys insieme a Circle Economy.

Cos’è l’economia circolare

Spesso si tende a confonderla con il riciclaggio dei rifiuti, ma l’economia circolare è qualcosa di molto più ampio. Tradizionalmente l’economia si è basata sul principio di “produrre, usare, buttare”. Ma i fatti hanno dimostrato che questo modello non è sostenibile, perché le risorse e le energie che abbiamo a disposizione sono limitate e i loro prezzi sono volatili. Con l’economia circolare, i prodotti vengono progettati già nell’ottica di doverli riparare, riutilizzare o trasformare in qualcosa di diverso quando avranno esaurito la loro “prima vita”. E i consumatori non sono più proprietari, ma utenti che fanno uso degli oggetti soltanto quando ne hanno bisogno davvero.

Il nostro mondo è “circolare”?

Ogni giorno nel mondo si estraggono circa 22 chili di materie prime pro capite. La metà di esse non può essere recuperata: si tratta ad esempio del cibo che mangiamo o dei combustibili fossili che bruciamo. Poi ci sono sabbia, ghiaia e calcare usati per il cemento delle costruzioni, che restano quindi “intrappolati” per decenni. Infine ci sono tutti quei materiali che servono a costruire elettrodomestici, vestiti, automobili, detergenti. Appartengono a questa terza categoria tutti i prodotti che hanno un ciclo di vita breve o medio e che, se approcciati nel modo giusto, potrebbero offrire enormi margini per il riuso. Ma qual è il modo giusto? Le strategie che abbiamo a disposizione sono numerose e ormai molto avanzate.

Nel settore dell'edilizia, l'80 per cento del consumo dell'energia è legato ai materiali.
Nel settore dell’edilizia, l’80 per cento del consumo dell’energia è legato ai materiali. Foto © Ingimage

Ripensare industria, agricoltura, edilizia, trasporti

Ci sono quattro settori economici che ad oggi rappresentano l’82 per cento delle emissioni globali di gas serra: industria, agricoltura e foreste, edilizia e trasporti. Scegliere l’economia circolare significa capire, per ciascuno di essi, qual è l’approccio giusto.

Nell’industria bisogna puntare sulla rigenerazione: si smantella il prodotto usato, si ripara e si sostituisce ogni sua componente e lo si riassembla, riportandolo in vita come nuovo.

Nel settore di agricoltura e foreste invece bisogna focalizzarsi sulla gestione dei rifiuti, sul riutilizzo degli scarti e sulla lotta agli sprechi alimentari. Ogni anno, secondo la FAO, si butta circa un terzo del cibo prodotto per il consumo umano, che in termini di emissioni corrisponde a 3,3 miliardi di tonnellate di co2.

Nell’edilizia circa l’80 per cento del consumo di energia è legato ai materiali. Bisogna quindi sostituirli con alternative a minore impatto, che offrano la possibilità di cambiare facilmente la destinazione d’uso dell’immobile in modo da allungare il suo ciclo di vita.

Il ramo dei trasporti è nettamente dominato dalle automobili: nel mondo ce ne sono 1,2 miliardi. Ma ogni auto in media rimane inutilizzata per il 95 del tempo. Bisogna quindi passare dal possesso all’utilizzo, puntando tutto sui modelli di condivisione.

Foto di apertura © Martin Bureau/AFP/Getty Images

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