Quanta natura in quella tazzina di caffè

Dal bar, all’armadio, al serbatoio. Ecco quanto pesa il mercato italiano sulle risorse naturali e cosa lo rende insostenibile. E le proposte del WWF per ridurlo, con l’obiettivo di un Made in Italy realmente sostenibile.

Presentato il rapporto “The market transformation,
sostenibilità e mercati delle risorse primarie”, realizzato
dal WWF in collaborazione col SERI (Sustainable Europe Research
Institute) in vista del summit mondiale di Rio+20.

Uno studio che analizza quanto influiscono i mercati
globali sulle risorse naturali
e quanto siano essi
insostenibili: “L’umanità ha superato i 7
miliardi di abitanti e ricava risorse naturali dalla terra per
oltre 60 miliardi di tonnellate l’anno – ha detto Gianfranco
Bologna, direttore scientifico del WWF Italia – un peso ecologico
totalmente insostenibile per il futuro”.

Mezza tonnellata per ogni cittadino
Sono quattro i settori industriali che maggiormente influiscono in
Italia: il tessile, l’alimentare e il cartario. Risulta infatti che
tutta la filiera produttiva ha un forte impatto sull’ambiente:
8 miliardi di metri cubi di
acqua
, oltre 34 milioni di tonnellate di CO2, 8,5 milioni di ettari di terra
sottratti ad agricoltura e biodiversità: un totale che vale
mezza tonnellata di risorse all’anno per ogni cittadino
italiano.

Caffè, cotone, carta e olio di palma
Le 944 aziende che lavorano il caffè hanno
importato 470 mila tonnellate nel solo 2008, con un
incremento del 130% dal 2000, determinando una
perdita di suolo grande come la Calabria. Senza contare il taglio
delle foreste pluviali, il rischio d’estinzione per specie quali il
rinoceronte di Sumatra, l’elefante indiano e la tigre di
Sumatra.

Anche la filiera della carta incide, e non poco.
Negli uffici, sui banchi di scuola, in edicola ci sono 900 milioni
di metri cubi d’acqua, 8,5 milioni di tonnellate di gas
serra
, 5,8 milioni di ettari di terra l’anno, pari alla
superficie di Campania, Calabria, Basilicata e puglia messe
assieme.

Il cotone è invece uno dei maggiori
indiziati, per l’ingente consumo di acqua, l’uso di pesticidi
altamente inquinanti per l’ambiente e dannosi per la salute umana:
si stimano circa 20mila morti l’anno. Condizioni di lavoro precarie
che talvolta sconfinano nello sfruttamento minorile e nella
schiavitù. Si conta che l’80% della fibra provenga da soli 5
Paesi: Cina, India, Usa, Pakistan e Brasile.

Chiude la lista l‘olio di palma, utilizzato sia
come carburante, sia come olio alimentare, che come componente nei
cosmetici. Nel 2010 sono arrivate circa 1.100.000 tonnellate di
olio grezzo da Indonesia, Malesia, Thailandia, e Papua Nuova
Guinea. Un vero e proprio fardello ecologico che erode e degrada,
inquina le acque e disperde i pesticidi sino agli ecosistemi
marini, senza contare lo sfruttamento e distruzione degli stili di
vita delle popolazioni indigene.

Le proposte
Secondo l’associazione del Panda, l’UE dovrà ridurre a zero
la domanda di terreno entro il 2030, mentre entro il 2050 ridurre
dell’80% i propri prelievi diretti e indiretti di materiali
utilizzati, del 95% le emissioni di gas serra e portare la propria
impronta idrica a meno del 10% delle riserve disponibili. Per fare
ciò è indispensabile sviluppare iniziative dedicate
ai distretti industriali, puntando sulle risorse locali e
sull’ecoinnovazione, con il coinvolgimento di associazioni
imprenditoriali, società civile e centri di ricerca.

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