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Stati Uniti, perché si parla di un riconteggio dei voti delle elezioni presidenziali
Con oltre 2 milioni di voti in più di Donald Trump, Hillary Clinton ha conquistato il voto popolare. Ora c’è la possibilità di un riconteggio dei voti in Wisconsin, Michigan e Pennsylvania. L’inverno è alle porte.
Ha vinto Hillary Clinton, 45esimo presidente degli Stati Uniti d’America. Questo sarebbe stato il titolo il 9 novembre se invece del sistema dei grandi elettori, ovvero fondato sulla conta dei distretti elettorali, si fosse contato il voto popolare, cioè quello di ogni singolo americano a livello federale.
Clinton avrebbe infatti ottenuto, stando agli ultimi aggiornamenti, (dato che ancora in questi giorni si stanno scrutinando gli ultimi seggi) oltre 64,2 milioni di voti, due milioni in più di Donald Trump. Confermando la contraddizione di un sistema elettorale che per ben cinque volte ha premiato il presidente che prendeva meno voti dei cittadini, pur conquistando un numero maggiore di distretti. Era successo ad Al Gore nel 2000, dove sebbene il candidato democratico avesse 544mila voti in più, fu sconfitto da George W. Bush. Solo che questa volta il margine è immenso. Ciò è stato possibile solo grazie alla vittoria di Trump negli stati indecisi, in particolare Florida, North Carolina, Pennsylvania, Michigan e Wisconsin, spesso di poche migliaia di voti, scarti minimi che hanno potuto dare vantaggi molto significativi.
Too much is riding on this to be silent…WE DEMAND A #VoteRecount! #AuditTheVote pic.twitter.com/mrCkuhKg0s
— Girls Really Rule. (@girlsreallyrule) 23 novembre 2016
Numeri strani in Wisconsin, Michigan, e Pennsylvania
Da questi ultimi tre stati potrebbe arrivare una sorpresa. Clinton ha una minima chance di diventare ancora presidente degli Stati Uniti, qualora risultasse che il voto è stato alterato da fattori esterni, quali hacker o spie “venute dal freddo”. Secondo il New York Magazine Hillary Clinton avrebbe ricevuto pressioni da un gruppo di scienziati e analisti elettorali, inclusi i noti giuristi specializzati in elezioni John Bonifaz e J. Alex Halderman, del Center for computer security and society dell’Università del Michigan, per ricontare i voti nei tre stati del Midwest. Per i ricercatori ci sono “forti evidenze” che dimostrano che il processo di voto sarebbe stato hackerato o manipolato in molti seggi di Wisconsin, Michigan, e Pennsylvania. Al momento il team elettorale democratico e il gruppo di ricercatori mantiene il più assoluto riserbo, evitando le domande dei giornalisti. A muoversi per prima è stata la candidata del Green party, Jill Stein, secondo il sito americano Politico. Stein ha raccolto oltre 3 milioni di dollari (oltre 2,5 milioni di euro) per iniziare il processo legale per chiedere un nuovo conteggio dei voti nei tre stati. “Queste preoccupazioni vanno verificate prima che le elezioni 2016 siano certificate e concluse”, ha dichiarato Stein sul sito dei Verdi americani. “Meritiamo elezioni di cui ci possiamo fidare”.
Democracy needs you to be a #Recount2016 volunteer.https://t.co/Bvrs0j6EK5 https://t.co/lD7Wr3iSMj https://t.co/NAN4Ryf6Pw
— Dr. Jill Stein (@DrJillStein) 24 novembre 2016
Lo svantaggio di Clinton è inferiore a 30mila voti
“È fondamentale rivedere le schede elettorali cartacee e analizzare a campione le macchine elettroniche per il voto” secondo Halderman. In Michigan e Wisconsin, lo svantaggio di Clinton sarebbe di meno di 30mila voti, un gap che si continua a ridurre, mentre ancora mancano alcuni voti da assegnare, dovuti a problemi di conteggio. Una revisione di voto potrebbe annullare completamente questa differenza, se si scoprissero brogli.
Conquistando questi due stati il panorama si potrebbe capovolgere, portando i democratici alla Casa Bianca. Uno scenario probabile? Difficile capire cosa potrebbe succedere. I legali dei due partiti attendono la richiesta ufficiale per ricontare i voti, non ancora pervenuta da Stein (arriverà durante la giornata di venerdì per il Wisconsin). Di certo bisogna aspettarsi tensioni politiche, ancor prima che il nuovo presidente, chiunque esso sia, possa prestare giuramento davanti alla nazione il 20 gennaio, a Washington.
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