Saleem Samad. Chi sono davvero i terroristi in Bangladesh

Saleem Samad, decano reporter, spiega genesi ed evoluzione del terrorismo in Bangladesh, che ha causato anche 10 vittime italiane.

Non poveri, ma disoccupati. Laureati o diplomati in information technology e social network. Membri di gang, probabilmente attratti dalla violenza come i protagonisti di una “Arancia meccanica” globalizzata. Anche in Bangladesh, come negli altri paesi colpiti dal terrorismo di matrice islamica, lo scenario dei reclutamenti è cambiato enormemente negli ultimi tempi. Gli estremisti islamici hanno smesso di cercare i giovani contadini educati nelle madrasa. Sono lontani i tempi in cui i poveri si univano ai talebani. I disperati non sono più interessati alla jihad, come si è sostenuto subito dopo l’11 settembre 2001.

Saleem Samad
Saleem Samad

A spiegarlo, nell’intervista che segue, è Saleem Samad, decano giornalista bengalese, corrispondente di Asian Age e di Reporter senza frontiere. Dopo l’escalation di attentati, nei quali sono morti anche dieci italiani ed è stato ferito un missionario del Pime, Samad ripercorre la genesi e l’evoluzione dei gruppi radicali.

Negli ultimi tre anni gli attacchi terroristici, spesso rivendicati dall’Isis o Daesh, lo Stato Islamico, sono aumentati. In alcuni casi sono stati arrestati e uccisi dei militanti islamici. Ma, secondo Samad, nella maggior parte degli assassinii non si conosce l’identità e il movente di chi ha colpito circa 50 civili locali ed espatriati, fra i quali blogger, musulmani laici, intellettuali, membri delle minoranze religiose.

“Il fuggitivo Mohammed Suleiman — spiega Samad—, leader della Jamaat-ul- Mujahideen Bangladesh (Jmb), militante operativo chiave dello ‘Stato Islamico’, è detenuto in India. Anche gli altri tre accusati dell’attacco del primo luglio al caffè di Dacca sono stati arrestati, tra i quali il canadese di origine bengalese Tamin Chowdhury, ucciso durante la cattura. Ma restano quasi tutti impuniti i militanti che colpiscono col machete e spariscono nella folla”.

Lo stesso Samad, che si definisce “un laico convinto”, nel 2002 fu arrestato e torturato per aver aiutato un noto documentarista britannico, Bruno Sorrentino, a raccontare la deriva verso “un nazionalismo islamista”. E nel 2004 dovette fuggire in Canada per alcuni anni dopo aver scritto degli articoli per la rivista Time Usa.

Il reporter evidenzia le responsabilità dei governi che si sono alternati in Bangladesh, dove il 90 per cento della popolazione è musulmano, con una prevalenza di sunniti. E soprattutto ricorda che la genesi dei radicali islamici e dei foreign fighters bengalesi risale a molto tempo fa: gli anni Ottanta della guerra in Libano e del conflitto israelo-palestinese.

Dacca, Bangladesh, luglio 2015. Professori e studenti dell'università di Dacca protestano e formano una catena umana contro il terrorismo.
Dacca, Bangladesh, luglio 2015 Professori e studenti dell’università di Dacca protestano e formano una catena umana contro il terrorismo. (Foto di Mohammad Asad/Corbis via Getty Images)

Come e quando il radicalismo islamico si è diffuso in Bangladesh?
I giovani bengalesi si sono uniti alla rete del terrorismo internazionale dai primi anni Ottanta. Migliaia di volontari sono andati a combattere contro Israele per liberare i Territori occupati palestinesi, partecipando alla guerra per procura per una Palestina libera e mobilitandosi nel sud del Libano (vedi conflitto arabo-israeliano, ndr). Ma i palestinesi persero la guerra, lasciando il Libano meridionale, e i combattenti bengalesi tornarono in patria nel 1982.

Furono i primi foreign fighters bengalesi, ma diversi da quelli odierni. Perché?
Erano stati radicalizzati attraverso un’impostazione islamica per combattere gli ebrei di Israele come mercenari fra i cosiddetti musulmani Palestinesi nel sud del Libano. Ma non erano né terroristi né islamisti. Si trattava di una gioventù mercenaria che andava all’estero per unirsi alla jihad contro ebrei, cristiani e indù.

Dove, di preciso?
A partire da allora, mentre – probabilmente – le agenzie di sicurezza ne erano a piena conoscenza, centinaia di ragazzi sono confluiti in gruppi segreti di 36 paesi, dove c’erano delle basi per delle guerre islamiche: dalla Cecenia, in Russia, all’Aceh, in Indonesia. Circa mille sono diventati soldati per i talebani e Al Qaeda col fine di stabilire un Califfato Islamico in Afghanistan. Ma dopo che le forze congiunte statunitensi e britanniche lo hanno invaso, alcune centinaia sono fuggite in Pakistan, mentre altre centinaia sono state catturate. La maggior parte è tornata a casa, tentando molte volte di lanciare la jihad in Bangladesh.

A che punto siamo?
Le agenzie di contro-terrorismo hanno scoperto vari covi dell’affiliata di Al Qaeda, Jagrata Muslim Janata Bangladesh (Le masse musulmane risvegliate del Bangladesh) e hanno catturato i leader Shaykh Abdur Rahman e Siddique-ul-Islam, detto Bangla Bhai, che sono stati impiccati per tradimento nel 2007. Dopo uno sbandamento del 2005, i terroristi formatisi in patria hanno creato diversi gruppi con varie ideologie islamiche in contraddizione fra loro, che hanno impedito di forgiare alleanze o reti. Molti jihadisti bengalesi hanno anche combattuto per l’indipendenza del Kashmir dall’India, venendo arrestati e trascorrendo tanti anni nelle prigioni indiane.

Attivisti laici protestano contro l'uccisione da parte di una gang del blogger ateo Niloy Chakrabarti, che utilizzava lo pseudonimo di Niloy Neel, Dacca, agosto 2014.        (Foto di MUNIR UZ ZAMAN/AFP/Getty Images)
Attivisti laici protestano contro l’uccisione da parte di una gang del blogger ateo Niloy Chakrabarti, che utilizzava lo pseudonimo di Niloy Neel, Dacca, agosto 2014. (Foto di MUNIR UZ ZAMAN/AFP/Getty Images)

Quanti si sono uniti all’Isis?
Di recente, alcuni bengalesi, nati anche in altri paesi come il Regno Unito, gli Stati Uniti e il Canada, sono sfuggiti ai controlli della polizia unendosi all’Isis in Siria e Iraq. Tuttavia, l’ufficio di intelligence e contro-terrorismo bengalese, addestrato dalla Cia, non sa quanti giovani siano entrati nello Stato Islamico. Recentemente il governo ha bandito come formazioni terroriste una dozzina di gruppi, tra i quali Harkat-ul Jihad Al Islam (Huji), Hizbut Tahrir, Jmb, Ansarullah Bangla Team (Abt), ma nessuno è stato fermato all’aeroporto internazionale di Dacca mentre si dirigeva in Turchia.

Un tempo, proprio dopo l’11 settembre 2001, si attribuiva il radicalismo islamico al risentimento anti-occidentale. Esiste in Bangladesh questa relazione?
La filosofia anti-occidentale fu iniettata dai partiti comunisti e socialisti nei giovani disoccupati delle zone rurali negli anni Settanta. Ormai quei partiti sono finiti nell’oblio, ma il loro anti-americanismo ha imbevuto la mentalità di giovani più o meno istruiti. Tante persone frustrate, in seguito, sono entrate nei gruppi estremisti islamici per fini personali. Più tardi i partiti politici islamici hanno ripreso i discorsi anti-occidentali quando è collassato il regime talebano in Afghanistan a causa dell’invasione militare anglo-americana. Ma il Bangladesh ha appoggiato l’Occidente negli sforzi contro il terrorismo, tanto che i partiti islamici, i gruppi militanti islamici e le formazioni jihadiste sostengono che l’attuale regime di Sheikh Hasina è anti-islamico. Inoltre, sia i partiti islamici che le formazioni terroristiche incitano la gente a rovesciarlo.

Lo sfruttamento degli operai nelle fabbriche tessili che producono per le multinazionali, come avveniva nel palazzo del Rana Plaza crollato tre anni fa, può favorire sentimenti anti-occidentali e la radicalizzazione?
No, i lavoratori, soprattutto le lavoratrici, non sono interessati alla jihad. La loro rabbia è rivolta ai proprietari locali delle fabbriche, non all’Occidente.

Ma può accadere che anche gli attuali terroristi manipolino i poveri per reclutarli?
In realtà, è stato scoperto che a essere reclutati in cellule dormienti siano persone istruite, con titoli universitari. Nessuno dei militanti arrestati era analfabeta. Certamente c’erano dei disoccupati, ma alcuni erano esperti di information technology e social network. Lo scenario dei reclutamenti è cambiato enormemente negli ultimi tempi. Gli estremisti hanno smesso di cercare i giovani contadini educati nelle madrasa, ovvero le scuole islamiche dove imparano solo il Corano. Sono lontani i tempi in cui i poveri si univano ai talebani.

6 Luglio, Roma. Migranti musulmani nel quartiere romano di Torpignattara ricordano le vittime italiane nell'attentato al caffè di Dacca.
6 Luglio, Roma 2016. Migranti musulmani nel quartiere romano di Torpignattara ricordano le vittime italiane dell’attentato al caffè di Dacca (Foto di Simona Granati/Corbis via Getty Images)

Quali sono le responsabilità del governo per non aver protetto le vittime del radicalismo islamico? 
Il governo e il primo ministro Sheikh Hasina accusano i blogger addirittura di blasfemia. Hasina ha ordinato loro di non criticare l’Islam e il profeta Maometto. Alcuni esperti sostengono che l’Esecutivo lasci galleggiare i problemi in acque sporche. Blogger, musulmani laici, atei, intellettuali e membri delle minoranze religiose si lamentano perché le autorità chiudono un occhio sulle minacce che ricevono dai musulmani radicali. Ciò apre uno spazio ai militanti per colpire le vittime con un machete e sparire nella folla. Le identità dei colpevoli e le ragioni dei crimini restano sconosciute. Gli assalitori continuano a circolare liberamente, rimanendo impuniti, nonostante le proteste degli attivisti per i diritti umani, dei media, dei governi stranieri e delle agenzie delle Nazioni Unite.

L’attuale primo ministro Sheikh Hasina e l’ex premier Khaleda Zia, che si alternano da decenni al potere, sembrano rappresentare due dinastie capeggiate da donne in continuo conflitto. Ma quali sono le loro differenze politiche, anche rispetto alla minaccia terroristica?
Francamente, non ci sono differenze significative. Le begun (termine popolare persiano che significa ‘signore’) sono acerrime nemiche, che si sono alternate nei governi creando instabilità. Entrambe si accusano di ogni problema, comprese le gang armate di machete che girano per il Paese nelle loro missioni assassine. Entrambi i loro regimi hanno protetto i gruppi islamisti e sono stati attenti a non inimicarsi i religiosi musulmani, sostenendoli e finanziandone le madrasa per decenni. Questi governi non hanno promosso politiche che gli islamisti ritenevano ‘anti-islamiche’, per esempio sull’autoaffermazione delle donne e sull’istruzione nazionale. Entrambi i loro partiti sono corrotti. I loro leader ‘fanno i duri’ per assicurarsi il controllo sul governo locale e sull’amministrazione civile. I poliziotti hanno poco margine di azione: o scendono a compromessi o vengono puniti dai superiori.

È vero che fra i rohingya, minoranza musulmana perseguitata in Myanmar che fugge nel confinante Bangladesh, si può creare il terreno per una radicalizzazione come sostengono le autorità birmane?
Esiste qualche militante a Chittagong (prima città bengalese al confine con il Myanmar, ndr) ma nessuno si è unito alle reti terroristiche nazionali o internazionali. I rohingya sono dei disperati, piuttosto che entrare nei gruppi radicali, fuggono dai loro villaggi avventurandosi nell’Oceano Indiano come “boat people”.

Nel 2002 lei è stato arrestato e torturato mentre aiutava come fixer il regista britannico Bruno Sorrentino. Fu accusato di “voler ritrarre il Bangladesh come un paese islamico fanatico” e di “sedizione”. Quando ha iniziato a interessarsi alla questione dell’estremismo e, ora che è rientrato in patria, cosa può dirci di quell’esperienza?
L’emittente britannica Channel 4 stava documentando come il Bangladesh stesse scivolando da Stato laico verso un nazionalismo sciovinista islamista. Il mio paese ha cominciato a esportare terroristi quando i talebani hanno invaso l’Afghanistan con l’aiuto di funzionari sleali dell’intelligence militare. Nonostante la struttura di quest’ultima sia cambiata e l’invio di reclute per la jihad sia diminuito molto, possiamo ancora dire che il terrorismo locale è molto attivo.

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