7 piatti per viaggiare tra i sapori

1. Pizzoccheri, Valtellina Una passeggiata in Valtellina, terra di vini, mele, formaggi e verdi vallate, non è da perdere. Crocevia di arte, cultura e bellezze paesaggistiche, custodisce ancora intatta la ricetta di uno dei piatti più famosi del territorio: i pizzoccheri, una sorta di tagliatelle di grano saraceno e (poca) farina di frumento condite con

1.

Pizzoccheri, Valtellina

Una passeggiata in Valtellina, terra di vini, mele, formaggi e
verdi vallate, non è da perdere. Crocevia di arte, cultura e
bellezze paesaggistiche, custodisce ancora intatta la ricetta di
uno dei piatti più famosi del territorio: i pizzoccheri, una
sorta di tagliatelle di grano saraceno e (poca) farina di frumento
condite con verdure come verza, coste, patate, formaggio Casera,
grana padano, burro, aglio, salvia e pepe. Gli studi effettuati sul
grano saraceno datano la coltivazione in area valtellinese a
partire dal 1600. La farina di questo cereale, rustico e dal sapore
molto particolare, dà una consistenza leggermente granulosa,
quasi sabbiosa, al pizzocchero, perfetta per trattenere ed esaltare
la bontà degli altri ingredienti. Anticamente era usanza
impiattare i pizzoccheri per tutta la famiglia in un unico
contenitore posto centralmente sulla tavola, da cui i commensali si
servivano tutti insieme.

2.


Acquacotta, Toscana

Piatto tipico della cucina della bassa Maremma, l’acquacotta
in passato ha sfamato generazioni di butteri, carbonai e pastori
che si trovavano per lunghi periodi fuori casa per seguire le
mandrie, le greggi o produrre carbone nei boschi. Essendo una zuppa
a base di verdure, a cui aggiungere formaggio, uova e pane
raffermo, ha una ricetta che varia a seconda delle stagioni e a
ciò che si trova spontaneamente nei campi. Per questo
motivo, l’acquacotta prevede un numero di varianti pressoché
infinito, anche se la ricetta più diffusa contempla cipolle
bianche, sedano, porcini (quando sono di stagione), pomodori, pane
casalingo raffermo di grano duro, pecorino, uova, brodo e olio
extravergine d’oliva. In realtà, con un po’ di fortuna, ci
si può imbattere in qualche trattoria tipica che inserisce
cardini (polloni di carciofi), broccoletti, cicoria selvatica,
fagiolini, borragine, tarassaco. Nel mese di agosto, nel grossetano
si tengono diverse sagre dell’acquacotta nei paesini alle pendici
del monte Amiata, tra cui il bel comune di Santa Fiora.


3.

Involtini alla messinese, Sicilia

Tra le ricette più amate del messinese brilla quella
degli involtini, testimonianza di come la cucina povera possa
essere davvero molto sfiziosa. Pochi ingredienti e un po’ di
manualità nella preparazione sono sufficienti per realizzare
questo piatto in cui contano di più l’occhio e l’amore per
la cucina piuttosto che il bilancino. La carne per avvolgere
è quella di manzo o vitella, tagliata a fettine sottili,
mentre il ripieno è composto da pangrattato, pecorino
grattugiato, abbondante olio extra vergine di oliva, caciocavallo
ragusano, aglio e prezzemolo. Si stende una fettina, ci si passano
sopra le dita oliate, si depone una presa di ripieno, qualche
tocchetto di caciocavallo e si arrotola, piegando i bordi a tasca.
Si infila poi ogni involtino in uno spiedino di legno, alternandola
con una foglia di alloro o con una fettina di cipolla bianca. Si
cuoce alla brace o in forno.

4.

Sarde in saor, Veneto

La tecnica di trattare il pesce con l’aceto di vino per
conservarlo e per accentuarne il sapore, diffusa in molte regioni
italiane, nella versione veneziana dà il meglio di sé
con le sarde in “saor” (sapore). Questo piatto si realizza con
ingredienti che dicono molto della città: le sarde,
infarinate e fritte in buon olio vengono condite con le cipolle
raccolte negli orti delle isole lagunari, imbiondite e addolcite
con una gentile stufatura; le spezie, l’alloro, l’uvetta sultanina
e i pinoli, ricordano il passato di Venezia, porta per l’Oriente e
crocevia di aromi e culture. La praticità della ricetta,
infine, rispecchia il carattere concreto dei veneziani,
tradizionalmente abili nel commercio. Il saor ha origini antiche.
Bepo Maffioli, autore, attore ed esperto di gastronomia, lo ha
definito “cibo di marinai e scorta di terraferma”, in virtù
della sua azione conservante del pesce durante i lunghi viaggi per
mare. Ancora oggi, le sarde in saor sono il piatto tradizionale
della grande festa del Redentore che si tiene a Venezia il terzo
sabato di luglio.

5.

Testaroli al pesto, Liguria

Tra Liguria e Toscana si nasconde uno splendido territorio a
cavallo tra mari e monti che si chiama Lunigiana. All’antica
città romana di Luni, che ha dato il nome alla zona,
è legata la storia dei testaroli, uno tra i più
antichi tipi di pasta conosciuto. I testaroli si preparano con
acqua tiepida, sale e farina di grano (anticamente farro)
mescolando gli ingredienti in una pastella fluida cotta a legna per
alcuni minuti, fino a formare una sorta di crespella tonda e
spugnosa del diametro di 40 cm e alcuni millimetri di spessore. La
cottura dei testaroli avviene in particolari contenitori chiamati
testi, un tempo fatti d’argilla e ora più comunemente di
ghisa. La ricetta prevede che si scaldi il testo sul fuoco vivo, vi
si stenda la pastella sopra e si copra con un altro testo caldo per
completare la cottura. Il disco di pasta, una volta cotto, viene
tagliato a quadretti e fatto rinvenire in acqua bollente, ma a
fuoco spento, per pochissimi minuti. Si condisce tradizionalmente
con pesto di basilico, oppure con olio extra vergine d’oliva e
formaggio pecorino.


6.

Ciceri e
tria, Puglia

Un tour tra le bellezze salentine per scoprire, con una sosta
in trattoria, questo antichissimo piatto è un’esperienza da
non farsi mancare: ciceri e tria è una sorta di minestra di
ceci, porri e lagane (pasta simile a quella fresca). Col passare
del tempo anziché di lagane si è cominciato a parlare
di “tria”, pasta secca. Come tutti i piatti tradizionali, si
realizza con ingredienti poveri ma saporiti, semplici ma “forti”.
Si prepara in casa la tria mescolando semola, farina e acqua
tiepida. La sfoglia ottenuta viene poi tagliato in un formato
simile a quello delle tagliatelle (un po’ più larghe e
spesse). I ceci, messi a bagno la sera prima, vengono fatti cuocere
con acqua e alloro e a metà cottura si tolgono dal fuoco, si
scolano e si mettono in una pentola con verdure (cipolla e sedano).
Quando i ceci sono pronti, si frigge una parte della tria e il
resto si lessa normalmente in acqua salata. Una volta cotto tutto,
si uniscono pasta, tria fritta e ceci e si cosparge con pepe. Il
piatto nasce come pietanza tipica del 19 Marzo, festa di san
Giuseppe.

7.

Erbazzone, Emilia Romagna

Lo scarpasun, questo il nome dell’erbazzone in dialetto,
è una delle prelibatezze della gastronomia contadina della
provincia di Reggio Emilia. Il suo nome deriva dall’abitudine delle
famiglie di inserire tra gli ingredienti anche il fusto bianco (la
cosiddetta scarpa) della bietola. La stagione dell’erbazzone,
è infatti quella che va da inizio estate sino ai Santi,
periodo naturale di crescita delle bietole. Si tratta di una torta
rustica d’erbe composta da un fondo di pasta ripieno per due
centimetri con un impasto di bietole lesse, uovo, scalogno,
cipolla, aglio e abbondante parmigiano reggiano. Il fondo della
torta viene poi coperto e chiuso con un altro strato di pasta,
forato con i rebbi della forchetta e cosparso di pezzetti di
pancetta. Si cuoce in forno. L’Erbazzone reggiano si distingue
dalle torte salate cucinate in altre regioni italiane per la
mancanza della ricotta e per la particolare pasta “azzima” sui cui
si stende il ripieno, testimone delle influenze che in passato la
comunità ebraica, numerosa nella città di Reggio
Emilia, ha esercitato nei confronti di molte specialità
culinarie locali.

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