Abitare poeticamente la terra

Luciano Valle, filosofo, teologo e formatore, presidente del Centro di etica ambientale della Regione Lombardia e appassionato divulgatore di tutte quelle tematiche che insegnano a riconoscere tutto quanto ci lega profondamente all’ambiente circostante.

Sono già più di 10.000 le persone a cui, soltanto
negli ultimi dieci anni, Luciano Valle ha trasmesso il suo
appassionato messaggio che riapre la mente, il cuore e l’anima a
una visione del mondo capace di includere anche l’ambiente
naturale, animato e inanimato. Scoiattoli, querce, ruscelli, nuvole
e rocce non sono solo elementi indispensabili per la vita
materiale, ma anche per l’equilibrio spirituale di un essere umano,
che oggi ha perso il contatto col mondo di cui è parte.
Professore di filosofia per 20 anni e poi formatore, oggi è
presidente del Centro di etica ambientale della Regione Lombardia e
presidente delle Acli di Pavia, ambiti nei quali il suo pensiero si
sta trasformando in iniziative concrete sul territorio per la
diffusione di una nuova consapevolezza ambientale ed
esistenziale.

Le cose non stanno andando molto bene nel rapporto tra
l’uomo e la Terra. Che cosa va cambiato?

L’uomo non è più quell’insieme armonico di “soma,
psiche, nous e pneuma” di cui parlavano gli antichi greci, è
diventato demnos, come già diceva Sofocle. E’ diventato
perturbante, prepotente, sta accelerando e acuendo la devastazione
del pianeta. Siamo entrati in una fase in cui il mondo della
tecnica e la costruzione mentale a cui l’uomo è arrivato
nella modernità stanno scombussolando e destabilizzando gli
equilibri omeostatici che il nostro pianeta ha saputo mantenere
finora. Una fase che i grandi fisici, dopo Hiroshima, hanno
chiamato “la fase del peccato”, proponendo una rilettura della
genesi come metafora prospettica di qualcosa che avrebbe dovuto
ancora avvenire, e che ora è avvenuto. A metà degli
anni 40 il messaggio di Einstein è chiaro: “la
modernità è finita e ha fallito. Bisogna costruire un
nuovo umanesimo, altrimenti il pianeta non si salva”.

Come e con quale obiettivi nasce il Centro di etica
ambientale?
Faccio formazione da più di 10 anni
per la Regione Lombardia. All’inizio alle guardie ecologiche, poi
agli insegnanti e pi via via a una cerchia sempre più ampie
di figure professionali. Due anni fa siamo riusciti a
istituzionalizzare questa realtà, coinvolgendo anche il
Parco del Ticino e la Fondazione dell’Abbazia di Morimondo. Un
coinvolgimento non causale, perché questo era anche il
pensiero di San Bernardo, il fondatore dell’Abbazia: “il Logos non
parla solo attraverso l’intelligenza, la bocca e il cuore degli
esseri umani, ma attraverso i linguaggi della creazione: molte
volte gli alberi e le rocce ci insegnano più di quanto ci
insegnano gli esseri umani!”.
Il Centro di etica ambientale è una realtà in cui
tutti si possono riconoscere, laici o credenti, per trovare
l’ispirazione necessaria a mantenere il senso di una vita diversa.
Il suo obiettivo è quello di fare formazione, di animare
riflessione e porre le basi per nuovi profili mentali, quindi
cognitivi, etici e spirituali.

Quindi, rifare il mondo… a chi è diretto il
messaggio?
Direi piuttosto rivisitazione della
modernità. Ci rivolgiamo alla società nella sua
articolazione e complessità, ad allievi e insegnanti, ad
agricoltori e medici, a ingegneri e politici. Per scoprire insieme
come agire in ogni campo, per capire, per esempio, che
l’agricoltura deve diventare oikos, luogo di bellezza; che non
basta aver imparato a considerare che il malato è una
persona, ma che bisogna rifare gli ospedali, perché se al
mattino il malato sente cantare il cardellino, si sente meno solo;
per ripensare l’urbanistica; per cogliere il significato del
messaggio di Einstein, che la scienza senza lo stupore è
proprio poca cosa…

Che cosa possiamo fare per avvicinarci a questo nuovo
umanismo a cui faceva riferimento proprio Einstein?

Imparare a guardare il mondo in modo diverso. “Dobbiamo imparare a
dialogare coi fiori, le erbe e le farfalle”, diceva . Nietzche., ma
per riuscirci bisogna imparare a diventare piccoli come loro.
“Senza la ginestra – direbbe Leopardi – mi sento impoverito…”.
Come impoverita ha iniziato a sentirsi la parte più
sensibile della società civile fin dal primo serio segnale
di allarme, lanciato nel ’63 da Rachel Carson, con il suo libro
denuncia Primavera Silenziosa. Dobbiamo ritrovare il “pensare
poetante” dei greci prima di Aristotele e abitare poeticamente la
terra come suggerisce Heidegger, citando il poeta filosofo
Holderling.

E’ ottimista rispetto alla situazione
attuale?

…Si! Sono ottimista, a differenza di 20 anni fa, quando le
persone e le realtà che parlavano di queste cose, in Italia,
erano veramente pochissime. Oggi c’è un gran movimento di
idee, gruppi e associazioni in tutto il mondo. Il mio ottimismo
è però relativo alle realtà locali, su scala
più grande sono preoccupato. E’ più importante che
mai che nella classe dirigente internazionale crescano
consapevolezza e saggezza etica, che si diffonda la capacità
di costruire relazioni tra gli stati e tra i popoli, che si arrivi
a svuotare gli arsenali a dirigere con coscienza la ricerca in
campo genetico.

Quindi crescita personale e responsabilità
individuale sono fondamentali?
Certo. E non più
per star bene, ma per far star bene. Dobbiamo tornare alla polis
dei greci: il problema è il passaggio dal mio star berne a
quello collettivo. “Non siamo noi a dover tornare nelle foreste –
scrive Tagore – ma sono le foreste a dover entrare nelle
città”. Andiamo nelle foreste per respirare, in tutti i
sensi, ma poi torniamo nelle città per ripensarle e
rifondarle. Dobbiamo uscire dagli ashram, dalle catacombe, dai
conventi, e dobbiamo incontrare il mondo per testimoniare e aiutare
a crescere. Ognuno deve fare la sua parte, deve diventare anche
missionario, deve incrementare la noosfera, la dimensione etica
planetaria.

Quale messaggio potrebbe dare ai giovani di oggi, spesso
disorientati davanti al mondo che stanno ereditando?

Lo stesso che ha dato il presidente Ciampi nel suo discorso di fine
anno: “Fate l’esperienza dell’alba!”.

Marcella
Danon

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