Il nuovo scenario del riciclo: Rifiuti Zero

La campagna trevigiana si presenta come la ricordavo: appena varcata la soglia provinciale un cartellone stradale d

Ne ho già sentito parlare: un centro di riciclo definito
a rifiuti zero‘. Ma com’è possibile? Anche
tramite un’adeguata raccolta differenziata della frazione secca dei
rifiuti urbani, una certa quantità del materiale raccolto
non è riutilizzabile (in questo caso la plastica), o per
mancanza di un’efficace direttiva a livello nazionale che accolga,
a pieno titolo, tutti i vari polimeri immessi nel mercato, o per
inadempienze dei centri di smistamento o addirittura perché
il consumatore, nel momento della divisione dei propri rifiuti, ci
infila un po’ di tutto.

Il Centro è di facile accesso, visto che qui arrivano
decine e decine di autoarticolati, ogni giorno. Mi accoglie la
titolare del centro, Carla Poli, madre di
Alessandro Mardegan, l’ideatore
del macchinario che mi accingo a vedere. C’è qualcun altro
in visita oggi, credo dei rappresentanti del comune di Reggio
Emilia; ieri invece c’erano gli olandesi, acquirenti del prodotto
finale.

Inizio il giro: la prima parte dell’impianto
tratta la frazione secca riciclabile proveniente dalla raccolta
differenziata dei comuni limitrofi (ma arriva pure da Belluno e da
Imola). Il bacino di utenza serve più di un milione
di abitanti
. Qui viene effettuata una prima divisione del
rifiuto: carta, vetro, metallo e le varie tipologie di
plastica.

Molti sono gli oggetti merceologici composti da polimeri
diversi, spesso inutilizzzabili da parte di chi raccoglie o li
tratta. Dopo la prima cernita, che toglie pezzi di ferro, scarpe,
vestiti di ogni genere (sì, la gente ce li infila pure nella
plastica), vengono raccolti i vari imballaggi che, secondo il
CO.RE.PLA. (Consorzio Nazionale per la Raccolta, Riciclaggio e
Recupero degli Imballaggi in Plastica), sono riciclabili e
quindi riutilizzabili
in una qualche maniera.

In questo punto dell’impianto avviene una suddivisione definita
da Mardegan ‘di alta qualità’, perché fatta tutta a
mano dai dipendenti del centro, la maggior parte immigrati. Di
qualità perché, più il prodotto
è omogeneo
, cioè dello stesso polimero,
più diventa valorizzabile. Ad esempio, il PET in commercio,
lo si trova di tre tipi diversi: trasparente, leggermente colorato,
molto leggero. Se non adeguatamente suddiviso, non è
facilmente recuperabile.

Alla fine di quella che pare una catena di montaggio di una
qualsiasi fabbrica dei giorni nostri, noto però una
quantità enorme di plastica di tutti i
tipi, dai sottovasi ai giocattoli, dal polistirolo a frammenti
ormai irriconoscibili.

E questa montagna, che fine fa? Alessandro mi sottolinea che, di
tutto il raccolto, questo risulta essere il 25/30% del totale in
volume, che come consuetudine, diviene C.D.R. (carburante da
rifiuto). In pratica viene bruciato negli
inceneritori o finisce nelle discariche.

E qui l’idea: perché non trovare il modo di trasformare
ciò che viene definito (dalla legge) come rifiuto secco non
riciclabile, in materia prima seconda?

Ma come? Per capire meglio mi sposto nella seconda parte dello
stabilimento, dove la matrice secca viene tritata
meccanicamente
, per essere trasformata alla fine del ciclo
in sabbia sintetica.

L’idea di Alessandro parte dalla modifica di un macchinario
già in commercio – sembra un ‘tritacarne gigante’. Tramite
la semplice forza meccanico-fisica (processo definito di
estrusione), i granuli di plastica vengono prima
compressi e alla fine, grazie agli attriti all’interno del
‘tritacarne’, vengono fusi, dando vita ad un nuovo
materiale
. Tutto senza alcun tipo di
combustione
o di utilizzo di combustibile.

Niente emissioni quindi. Ma dall’interno della
macchina vedo uscire del fumo: ” è semplice vapore acqueo –
assicura Martegan – l’ultima frazione umida residua presente nella
plastica”.

Il prodotto finale è una sabbia sintetica
eterogenea
, di varie dimensioni granulometriche, che trova
utilizzo per i prodotti più disparati. Si và
dall’edilizia ai vari stampati in plastica. Panchine, sedie,
dissuasori di velocità, vasi per le piante, cestini per i
rifiuti e altro ancora.

Uscendo, Alessandro mi accompagna all’auto, ma prima mi fa
vedere il giardino che spesso ospita le varie scolaresche che
vengono a visitare il Centro: l’unico materiale utilizzato è
la sabbia sintetica da loro prodotta, letteralmente il rifiuto che
torna a nuova vita.

Rudi
Bressa

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