La libertà nello raja yoga

Il III grado di realizzazione nella via dell’aria, che permette all’Umano Evoluto di divenire Umano Risvegliato,

Libertà è una parola immensa. Nel raja yoga, lo yoga
regale, indica la liberazione dal possesso: l’essere liberi da
tutto, compreso dal desiderio di libertà. Se sono semplice,
se non sono attaccato, sono libero. Se difendo qualcosa, anche il
desiderio di libertà, non sono più libero.
Libertà non equivale però a “liberazione”. La
liberazione è il percorso, l’impegno verso la
libertà. La realizzazione, in altre parole, è solo
nella pratica.
L’aria, con la sua semplicità, mi insegna che, nella fase
pura dell’azione, sono già realizzato. Quando pratico
(qualunque compito, o disciplina, o impegno nella vita) mi libero,
anche se non capisco a della pratica. La realizzazione è
“nella” pratica, non viene “dalla” pratica. Anche nella pratica
più autentica, a volte, lottiamo per un possesso.

E’ difficile sentire il gesto puro. La pratica è già
liberazione, anche se non libertà. E’ un concetto che
fuoriesce dalle normali categorie espressive e considera il
semplice “fare” come realizzazione, cioè: non “faccio per”
ottenere qualcosa, neppure la liberazione. Dunque, non “faccio” per
realizzarmi. Nel tantra, il “fare” è già
realizzazione, già perfetta perché fatta.
La liberazione non prevede accumulazione. Nell’ambito della ricerca
interiore, non si possono accumulare pratiche su pratiche. Si
offre, e basta. La liberazione è già nella
pratica.
Questo è karma yoga: realizzo mentre compio. Non serve
accumulare per essere. Karma yoga è limpida azione. Bisogna
mollare il possesso. L’aquila è spietata, rappresenta
l’azione pura e la sua picchiata è straordinaria, è
pura azione convergente.

Il Maestro Dogen Zen Gi, fondatore della scuola di Soto Zen, erede
di un lignaggio molto antico, ne ha portato in Giappone
l’insegnamento che si stava estinguendo in Cina. E’ una scuola
limpida, molto pura, legata allo studio di antichi testi indiani.
Il Soto Zen è pura azione, basata solo sulla pratica:
è proibito parlare. Non si parla neanche di risveglio, di
illuminazione; si pratica e basta.
Praticare il Soto significa proprio “essere innamorati della
pratica”. Il proposito sottile, nascosto, è quello di
stroncare la mente che si autointerroga di continuo, impedendomi di
pensare che “quello che faccio mi servirà a qualcosa…”.
Quello stesso fare manifesta il mio risveglio.

Importante non è la meta, ma quello che si diventa, durante
il cammino. Camminando, praticando, manifesto a me stesso la mia
liberazione, la realizzazione, il risveglio. Solo così il
mio cammino potrà confluire nella Libertà. Musho Toku
significa, in giapponese, “non ho più scopo”, più a
da perseguire. In cinese, equivale più o meno alla pratica
del wu wei, o del “non fare”, del “fare senza fare”, senza
attaccamento, senza inseguire risultati.
Si tratta unicamente di vivere il lila della vita, l’immenso gioco
d’amore che ha dato origine ai mondi: di viverlo e basta,
accettando di far parte del gioco. Senza cercare sempre il
perché, eppure offrendo il massimo del proprio impegno. In
altre parole, il Lila diviene, secondo una prospettiva umana,
“gioco” se non mi faccio schiavo del desiderio di comprenderlo e
spiegarlo; rimane “legge” se considerato da un’ottica più
ampia, o macrocosmica.

Amare senza scopo, perché solo se non hai scopo hai tagliato
veramente la testa al possesso. Ecco perché lo studio finale
del karma yoga è la libertà: intesa però non
come libertà dell’Ego bensì – in apparente
contraddizione – come un “lasciar la presa”, un “sottomettersi
totalmente” alla legge, all’ordinamento del cosmo, sino a fondersi
con esso.

Loredana Filippi

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