Perché lo stress è sotto accusa

Cosa dice la legge che nella valutazione dei rischi in ambito lavorativo include la rilevazione dei fattori di stress legati al lavoro. Finalmente, in azienda, si parla di felicità.

Non è il lavoro la causa dello stress. Sarà questa la scoperta sorprendente di una analisi condotta a livello nazionale sulla qualità degli ambiti lavorativi, in cui la sicurezza non si misurerà più soltanto in termini di elmetti, imbragature, guanti e occhiali protettivi, ma anche in qualità delle relazioni, fattori di mobbing, possibilità di carriera, spazi per le iniziative personali, adesione ai valori aziendali, occasioni di mettere in atto i propri talenti.

Quanto sono felice in questa azienda?

Il decreto legislativo 81/08 doveva entrare in vigore già nel maggio scorso, ma è stato rimandato al 2010. Psicologi e sociologi sono già in fermento e si preparano ad accogliere e soddisfare le richieste dell’articolo 24 che fa esplicito riferimento alla verifica delle condizioni in cui si svolge il lavoro, alla valutazione dello stress lavoro-correlato. Sarà, in alcune aziende, la prima volta che verranno poste domande del tipo “trovi il tuo lavoro interessante”, “come valuti la qualità delle relazioni con i tuoi colleghi”, “ricevi apprezzamento dai tuoi capi”, e così via. Forse, per molti, sarà anche la prima occasione per chiedersi “quanto sono felice in azienda, in questa azienda?”.

Felicità sul posto di lavoro

Il termine felicità ormai non è più un tabù sul lavoro, il professor Tal Ben Shahar ha spopolato a Harvard con le sue lezioni sulla felicità che invitano le persone a riflessioni importanti sul modo in cui stanno vivendo la propria vita. Riflessioni che, fatte in tempo, possono evitare di portare all’esasperazione il malessere sul lavoro sino ad atti estremi, come negli episodi riportati, in questo periodo, dall?attualità di una grossa azienda francese. Non è il lavoro la causa dello stress? No. E’ “come viviamo al lavoro”, “come viviamo il lavoro”.

Quello che finalmente verrà scoperto e ufficializzato è che le mansioni da svolgere effettivamente al lavoro sono soltanto minimamente, o in alcuni casi, causa esse stesse di stress, è tutto il condimento di relazioni, atteggiamenti, comportamenti, toni di voce, gentilezze o sgarberie, spazi per incontrarsi coi colleghi e scambiare due chiacchiere, rispetto delle esigenze personali, possibilità di far sentire il proprio punto di vista e di sentire che le proprie idee sono prese in considerazione, qualità dei valori perseguiti, coerenza tra messaggi e richieste effettive, attenzione all’individuo nella sua unicità che fanno la differenza tra il malessere e il benessere sul posto di lavoro.

Lo stress è un segnale del nostro corpo e del nostro spirito

Lo stress non è una malattia che si cura con l’antibiotico o l’aspirina, è un indicatore importante del fatto che nel complesso equilibrio “corpo-emozioni-mente e spirito” “si, anche spirito!” della persona c’è una voce che prevale e prevarica sulle altre, soffocando l’integrità della persona, ed è il malessere che ne deriva che è percepito come stress. L’antidoto, quindi è diverso per ogni persona e la prevenzione sarà diversa per ogni azienda e questo aprirà le porte a un nuovo tipo di formazione che, oltre all’addestramento per utilizzare un nuovo registratore di casa o per portare a termine una procedura burocratica, dovrà portare in azienda temi quali: ascolto ed empatia, qualità di relazioni, responsabilità individuale, attenzione ai valori, capacità di coinvolgimento, consapevolezza e attitudine a far crescere le persone.

Percorsi esperienziali di gruppo, counseling e life-coaching individuali saranno gli strumenti per inaugurare nell’azienda italiana – coerentemente con un trend europeo – un nuovo modo di lavorare in grado di prevenire lo stress. Agire e pensare in questi termini non potrà che portare un salto di qualità nella vita personale e aziendale e inaugurerà una nuova fase nella storia del lavoro: l’azienda come culla di cultura relazionale volta al benessere delle persone.

Perché mai le aziende dovrebbero imbarcarsi in un tale missione benefica? Semplicissimo: per guadagnare di più. Quando al lavoro vengono “persone”, presenti a se stesse, centrate, motivate e in crescita, e non solo “riscorse umane” – prese in considerazione soltanto per la loro mente, le loro braccia o le loro gambe – il capitale energetico, creativo e realizzativo è immensamente superiore e i risultati si vedono e si contano.

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