Verdena. Siamo tornati con un grande “Wow”

Il vostro album “Wow” arriva dopo tre anni d’attesa ed è un album doppio di ventisette tracce. Perché questa scelta? Avevamo tantissime idee, le abbiamo sviluppate tutte e alla fine non riuscivamo più a lasciarle fuori, quindi ogni pezzo… è come se fosse nato per essere così, con ventisette tracce, questo disco. Ne abbiamo scritti

Il vostro album “Wow” arriva dopo tre anni d’attesa ed
è un album doppio di ventisette tracce. Perché questa
scelta?
Avevamo tantissime idee, le abbiamo sviluppate
tutte e alla fine non riuscivamo più a lasciarle fuori,
quindi ogni pezzo… è come se fosse nato per essere
così, con ventisette tracce, questo disco. Ne abbiamo
scritti trentuno, abbiamo scartato qualcosa che non era comunque
importante. È una specie di tatuaggio degli ultimi tre anni
della nostra vita.

C’è qualche episodio in particolare che ha influito
sul disegno di questo tatuaggio che poi è diventato il
disegno di un album?
Sì, sicuramente. Sono
diventato padre e questo fa un certo effetto, positivo ovviamente.
Ho scoperto Brian Wilson, che non avevo mai ascoltato prima e
quindi mi ha aperto ai cori, altra cosa che non avevo mai fatto
prima. Poi sono “caduto” sul pianoforte e ho deciso che volevo
suonarlo, e scrivere delle canzoni con quello per vedere cosa
succedeva.

Nella composizione delle canzoni su cosa ti concentri
maggiormente?

Nei testi bisogna stare attenti a tutto, al suono, alla forma, al
significato. Bisogna far sì che sian belli, così il
testo diventa bello e anche il pezzo diventa bello se c’è un
bel testo. A me piacciono i testi un po’così, misteriosi e
quindi scrivo così perché io (ride, ndr.)
sono un tipo misterioso. In realtà sono un tipo molto
incoerente, cambio idea spesso e quindi magari anche all’interno di
un testo un po’si scopre questa incoerenza. Però non saprei
ben spiegarli, non mi piace molto spiegarli, i miei testi.

Come avete accolto e come hai accolto anche tu
personalmente questo successo? Siete arrivati al secondo posto in
classifica, primi su iTunes…
Sì, siamo
rimasti sorpresi e poi siamo contenti ovviamente! Pensavamo di
essere rimasti soli, invece no, è bello vedere che ci
stavano aspettando!

Come interagite con il vostro pubblico?
All’interno di una delle canzoni nomini Facebook. Lo
usi?

No, io no e neanche Luca (il batterista dei Verdena, ndr). Roberta
(la bassista, Roberta Sammarelli, ndr.) forse è a più
incline al computer, ma non è la sua passione. Non sapevo
neanche cos’era Facebook, l’ho scritto perché mi piaceva
l’idea, sapevo che aveva a che fare con internet, però non
sapevo bene cos’era. Pensavo che si suonasse su Facebook, invece
no. Però volevo dare l’idea del computer o di un tipo seduto
davanti a un computer che guarda lo schermo e viaggia in questo
mondo facile da cui si esce illesi. Forse. Più che altro era
lo sguardo da parte mia, di io che guardo un tipo al computer con
uno sguardo attonito.

Hai detto che hai avuto un figlio da poco. Che cosa
vorresti trasmettergli anche musicalmente?
Suona?
Ovviamente lui vuole suonare, perché vede
lo zio Luca e la Roby. È incuriosito, vuole suonare, ma io
non lo forzo a far niente.

Hai un tuo punto di vista sull’ambiente su quello che gli
sta succedendo?
Io sono un amante dell’ambiente e direi
che potrebbero smetterla di costruire capannoni inutili che sono
sempre vuoti. Case a caso, che non compra più nessuno. Si
potrebbe dare più spazio alla natura.

Ti ha ispirato l’ambiente, ti ha suggerito qualche immagine
per i tuoi testi?
Mah, in generale non ci sono cose che
mi danno ispirazione o per lo meno non riesco mai a decifrarle.
Però è diversa la mia vita da quella dei testi,
è come se nei testi scrivessi di un altro me stesso. In
“Wow” ci sono dei testi che parlano spesso di vacanze, almeno io so
che parlano di questo, o di amici, o di uscire. Penso che fosse
dovuto al fatto che io stavo sempre in sala prove e quindi scrivevo
istintivamente di stare in spiaggia o in mezzo a un bosco o con
degli amici a parlare in un bar.

La vostra sala prove è famosa per essere un
ex-pollaio. Come mai questa scelta?
È capitato.
Noi eravamo piccoli, nel 1993 abbiamo preso quel posto, lo
chiamavamo “centro sociale” all’inizio, e abbiamo iniziato a
suonare lì. È difficile slegarsi da quella zona.
È proprio la sala che ci interessa, ci piace quel posto,
suona bene, abbiamo i nostri riferimenti per fare un pezzo.
È tutto lì. Finché c’è quella sala,
finché non ce la butta giù qualcuno noi suoniamo
lì!

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