Si chiamava Saly, aveva cinque anni. Nello scatto vincitore del World press photo 2024, il concorso di fotogiornalismo più importante al mondo, non si vede un centimetro del suo corpo senza vita. E non si vede nemmeno il volto della zia, Ines Abu Maamar, che lo stringe forte a sé. Mohammad Salem, fotografo dell’agenzia Reuters,
Yukio Mishima, le contraddizioni di una cultura
L’ossessione per la bellezza assoluta e il culto per il corpo culminato nella pratica delle arti marziali e sfociato nella sua scrittura. Vita e opere di Yukio Mishima.
di Daniele Cerra
Vita
Kimitaka Hiraoka nacque a Tokio nel 1925. Figlio di un ufficiale del governo giapponese che ostacolava la sua passione per l’arte e le lettere, pubblicò le sue opere con lo pseudonimo di Yukio Mishima. L’esonero dal servizio militare fu l’evento che lo portò a trascorrere il resto della propria esistenza all’insegna di una profonda vergogna: mentre i suoi amici erano morti nella seconda guerra mondiale, lui era sopravvissuto e, cosa ancora più grave, non aveva nemmeno potuto combattere per la patria. L’amore per le tradizioni giapponesi fu uno dei motivi ricorrenti delle sue opere, riteneva, infatti, che l’educazione dei giovani giapponesi, sempre più portati ad assimilare i valori occidentali, dovesse ricondursi alla rigida moralità del bushido, il testo di riferimento dei samurai feudali. La ricerca di un’etica e di principi morali univoci tratti dalla tradizione giapponese erano però in totale contrasto con l’amore per l’arte e la letteratura europea, nonché con lo stesso stile di vita di Mishima che, oltre a vestire e vivere all’occidentale, era considerato uno dei più importanti esteti del ventesimo secolo.
Passioni e ossessioni
L’ossessione per la bellezza assoluta e il culto per il corpo, probabilmente legate alla sua omosessualità, culminarono nella pratica delle arti marziali e, inoltre, divennero argomento di numerosi romanzi tra cui il Padiglione d’Oro, uno dei suoi capolavori più apprezzati nel mondo. Oltre a essere autore di romanzi e saggi, Mishima fu uno scrittore talmente eclettico da riuscire a scrivere sia opere teatrali in stile occidentale incentrate sullo studio psicologico dei personaggi, sia testi tradizionali giapponesi, in patria venne considerato come l’unico scrittore in grado di scrivere testi per il teatro Kabuki e il teatro No.
Combattuto da passioni estreme e schiacciato dal contrasto tra innovazione dell’Occidente e tradizione giapponese, divenne propugnatore di ideologie estreme. Nel 1970 volle dare una scossa agli ideali nazionalisti ed eroici dei giovani giapponesi e compì un atto dimostrativo paramilitare alla guida di un manipolo di suoi seguaci. Represso e fermato dalle forze dell’ordine, ebbe modo di leggere un proclama, conclusosi con l’urlo “lunga vita all’imperatore”, prima che le sue azioni sfociassero nella più plateale dimostrazione della propria osservanza del codice dei samurai: il rito del seppuku, cioè il suicidio rituale.
L’harakiri di Mishima
Ripreso dalle telecamere nazionali, fu l’apogeo di un’esistenza piena di contraddizioni e di ideali. Il testamento spirituale di Mishima è contenuto nelle sue ultime opere, tra cui i trattati “lezioni spirituali per giovani samurai”, “introduzione alla filosofia dell’azione” e “il proclama”.
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