
Una spedizione di ricercatori svedesi nel mar Baltico si è imbattuta in bolle di metano molto più in superficie del previsto. E potrebbero essercene altre.
Gli ingegneri navali che li hanno creati li chiamano “glider”, alianti, ma sono in realtà robot sottomarini che consentiranno di studiare gli oceani.
In realtà si tratta di robot sottomarini in grado di
svolgere le loro missioni senza bisogno di carburante: a muovere
gli alianti del mare basano le differenze di temperatura tra le
correnti oceaniche, oppure la spinta di galleggiamento.
I due diversi veicoli – progettati per la Marina degli Stati Uniti
da due istituti di ricerca americani, la Webb Research e il
laboratorio di fisica applicata dell’Università di
Washington – verranno messi alla prova quest’inverno nelle acque
della California del Sud, dove saranno impiegati per studiare gli
oceani, analizzandone la composizione chimica e i microrganismi che
vi si trovano, e registrando i suoni presenti, ad esempio il canto
delle balene. Anche se in realtà queste apparecchiature sono
destinate soprattutto a intervenire in acque minate poco profonde
senza mettere in pericolo vite umane.
Il primo dei due sommergibili, lo Slocum della Webb Research –
così battezzato dal nome di una navigatore che nel
diciannovesimo secolo ha effettuato il giro del mondo in solitaria
– estrae l’energia di cui ha bisogno per funzionare dal
“termoclino”, ossia dallo sbalzo di temperatura presente ad una
certa profondità, che segna la separazione tra le acque
tiepide della superficie e quelle più fredde dei
fondali.
Utilizzando questo economico carburante, l’apparecchio dovrebbe
essere in grado di rimanere attivo per circa 5 anni spostandosi
continuamene per raccogliere dati tra la superficie marina e una
profondità di oltre 1500 metri sotto il livello del
mare.
L’altro robot, chiamato Seaglider (aliante marino) funziona
utilizzando semplicemente la propria spina di galleggiamento per
salire e scendere lungo traiettorie predefinite mediante un sistema
satellitare GPS: il vantaggio di questo apparecchio – che come lo
Slocum rappresenta anche un impegnativo banco di prova per
sofisticati sensori – consiste nel fatto di essere abbastanza
maneggevole da poter essere messo in mare manualmente da barche di
piccole dimensioni e di non aver bisogno di un costoso sistema di
appoggio, pur potendo rimanere in missione per mesi.
C’è solo da sperare che entrambe i robot, senza dimenticare
il loro ruolo a tutela della sicurezza nazionale, vengano
utilizzati anche per raccogliere dati scientifici
significativi.
Abigaille Barneschi
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