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Amianto, disastro Eternit
Disastro doloso. E’ il reato, punito con il carcere fino a dodici anni, contestato nei tre avvisi di garanzia ai proprietari della Eternit, per quasi 1.300 decessi dovuti ad esposizione all’amianto.
La procura di Torino ha indagato sulle morti avvenute negli
stabilimenti italiani di Cavagnolo (Torino), Casale Monferrato
(Alessandria), Rubiera (Reggio Emilia), Bagnoli (Napoli).
Indagati i vertici d’allora della multinazionale svizzera Eternit,
i fratelli Thomas e Stephan Schmidheiny, membri di una delle
più note e ricche famiglie elvetiche, e un belga, il barone
Louis de Cartier de Marchienne.
I legali delle
vittime dell’amianto in Italia chiedono alla sede
italiana di Eternit il sequestro conservativo di 60 milioni di
euro, cioè il patrimonio di Stephan Schmidheiny, per
risarcire i lavoratori e i familiari colpiti dal mesotelioma. E’
prima volta che i fratelli Schmidheiny, imprenditori svizzeri ben
piazzati nella classifica Forbes dei più ricchi del mondo,
verranno
chiamati a rispondere in un interrogatorio.
Oggi, le storie dei due ricchissimi ereditieri hanno preso
strade diverse. Thomas ha lavorato sempre nell’azienda di famiglia
ed è stato azionista di riferimento della multinazionale del
cemento Holcim, mentre Stephan, grande collezionista d’arte
moderna, ha cominciato a investire in tecnologie ed energie
alternative e a contribuire, tramite la Avina Foundation, in
progetti di sviluppo sostenibile.
Secondo il procuratore aggiunto Raffaele Guariniello, l’amianto
veniva impiegato anche al di fuori degli stabilimenti: per la
lavorazione di strade, tetti, opere murarie nel cortili, spesso
servendosi di
materiale di scarto. Questo ha portato a una
situazione di pericolo per la “pubblica incolumità”: gli
abitanti, infatti, sempre secondo la procura, non erano stati
avvertiti dei rischi derivanti dall’ esposizione al
minerale-tossico. Il procedimento, avviato nel 2003 per chiarire le
cause della morte di alcune decine di operai italiani, ha subito
oggi una svolta.
L’indagine, infatti, riguardava in un primo tempo solo l’azienda
che si trovava in Svizzera e i rappresentanti italiani di questa.
Solo in un secondo momento i pubblici ministeri torinesi hanno
esteso i controlli anche alle filiali italiane e ai massimi vertici
della multinazionale.
Si è arrivati a studiare, così, i casi di 1.300
persone morte a partire dal 1970.
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