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Ancora una riflessione sull’inquietudine, questa volta nella sua espressione religiosa, sottolineando la scelta tra una visione incentrata solo su di sé.
In una lettera che Pascal inviò il 17 ottobre 1651 alla
sorella e al cognato per la morte del padre possiamo rintracciare
quello che, secondo il Nostro, è il cuore dell’inquietudine
umana: “Dio ha
creato l’uomo con due amori: l’uno per Dio, l’altro
per sé stesso; ma con questa legge: che l’amore di Dio
doveva essere infinito, cioè senza altro limite che Dio
stesso, e l’amore di sé stesso doveva essere limitato, e
riferito a Dio. L’uomo, in questa condizione, non solo si amava
senza peccato, ma non poteva amarsi che senza peccato. Poi, venuto
il peccato, l’uomo perdette il primo di questi amori, ed essendo
rimasto solo l’amore di sé in quella grande anima capace
d’un amore infinito, l’amor proprio si è esteso e diffuso
nel vuoto che l’amore di Dio ha lasciato; e così ha amato
solo sé stesso, e tutte le cose per sé stesso,
cioè infinitamente. Ecco l’origine dell’amor proprio, il
quale era naturale in Adamo, e giusto nella sua innocenza; ma
è diventato colpevole e smodato, in seguito al peccato”.
Quello che Pascal vuole sottolineare è come l’uomo sia fatto solo per
l’infinito e come tra la sua naturale tensione
all’infinito e l’amore di Dio, espressione assoluta di questo
stesso infinito, ci sia naturale armonia. Ma una volta che l’uomo
ha perso l’amore per Dio, sostituendolo con l’amore per sé,
ecco che questa mirabile armonia svanisce, per lasciare il posto ad
un’anima – un cuore – sempre affamata d’infinito, perché
questa è la sua natura originaria, ma priva dell’oggetto –
Dio – al quale aspirare, in cui fare confluire tutte le sue energie
conoscitive e affettive.
Da qui la nostra perenne inquietudine: “Un tempo ci fu nell’uomo
una vera felicità, di cui gli restano ora soltanto il segno
e l’impronta affatto vuota, che esso cerca invano di colmare con
tutto quanto lo circonda, chiedendo alle cose assenti l’aiuto che
non ottiene dalle presenti, e che non può essergli dato da
nessuna, perché quell’abisso infinito può essere
colmato soltanto da un oggetto infinito e immutabile: ossia, da Dio
stesso“.
E ancora: “Dio solo è il suo vero bene; e, da quando l’uomo
lo ha abbandonato, è strano come non ci sia cosa nella
natura che non sia stata chiamata a fargliene le veci: astri,
terra, elementi, piante, cavoli, porri, animali, insetti, vitelli,
serpenti, febbre, peste, guerra, carestia, vizi, adulterio,
incesto. E, da quando ha perduto il vero bene, tutto può
egualmente apparirgli tale: fin la sua stessa
distruzione, che pur è così contraria a
Dio, alla ragione e alla natura tutt’insieme”.
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