
Vecchi e nuovi ogm sono sottoposti alle stesse regole, ma ora le cose potrebbero cambiare. Una petizione vuole evitare questo rischio.
Washington pronta a denunciare l’Unione Europea davanti al Wto per mettere fine alla moratoria contro gli ogm.
Nuovo testa a testa tra Stati Uniti e Unione Europea sulla
questione dei cibi e dei raccolti transgenici.
Questa volta gli USA si appellano al WTO pur di fare passare i loro
prodotti geneticamente modificati: “È una faccenda da
portare davanti al World Trade Organization, l’organizzazione che
tutela il commercio mondiale” – ha minacciato il rappresentante
americano per il commercio Robert Zoellick.
A Washington non digeriscono, infatti, l’idea di Bruxelles di
imporre una moratoria (dal 1998) per impedire l’ingresso in Unione
Europea di alimenti transgenici.
Non solo: questa stessa moratoria sta per essere (a fine anno)
sostituita da una legislazione ancora più rigorosa,
recentemente approvata, che obbliga l’etichettatura sui prodotti
contenenti una percentuale pari allo 0,9% di organismi
geneticamente modificati. Tutti: dalle semplici merendine ai
mangimi usati anche in ambito zootecnico.
Un vero e proprio colpo al cuore dell’industria agroalimentare
statunitense che basa sulla vendita nel Vecchio Continente dei suoi
mais, cotone e soia Ogm, buona parte della sua attività di
esportazione all’estero.
Le clausole imposte dalla UE, inoltre, hanno anche il duplice
effetto di trasformarsi in una sorta di “esempio” da applicare
anche altrove: e gli Stati Uniti non hanno, infatti, tardato a
notare che in Asia e in Africa (con il rifiuto di mille tonnellate
di mais e soia geneticamente modificati in India e addirittura
15mila nello Zambia) si sta verificando quanto temuto dalle grosse
multinazionali del transgenico americane.
Proprio su questo punto è partito l’attacco più
feroce e subdolo di Washington: “è immorale” – ha detto
ancora Zoellick – “l’Unione Europea invia nei Paesi poveri solo
aiuti non Ogm”.
“Ci sorprende il nesso evocato da Zoellick fra questo caso e il
problema della fame in Africa” – ha replicato Arancha Gonzalez,
portavoce del commissario Ue al commercio Pascal Lamy – “per noi si
tratta di un vincolo sbagliato. E infatti la politica degli aiuti
alimentari europei si basa su alimenti provenienti da mercati
regionali o locali, escludendo gli Ogm: in pratica l’UE non solo
evita di inviare cibo geneticamente modificato nei Paesi poveri, ma
non vuole neppure porli di fronte al dilemma se patire la fame o
accettarli”. Dal canto suo, poi, Lamy ha confermato ancora una
volta il deciso “no” ai cereali modificati degli Stati Uniti.
Insomma, saremo costretti a mangiare gli Ogm americani o no? Lo
sapremo alla fine di questa vicenda.
Roberta Marino
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