
Vecchi e nuovi ogm sono sottoposti alle stesse regole, ma ora le cose potrebbero cambiare. Una petizione vuole evitare questo rischio.
E’ sbarcata in Italia, al Pianeta Birra di Rimini, la prima birra geneticamente modificata. E’ svedese, si chiama “Kenth” e contiene mais ogm.
Dopo essersi accanitamente opposte (invano) all?etichettatura
degli Ogm, alle
multinazionali del transgenico non è
restato altro da fare che
?aggredire? il consumatore rivendicando il transgenico
come valore aggiunto nel prodotto, facendolo diventare una scelta
?di tendenza?.
?Go trans?, il claim scelto e sbandierato dall?azienda
produttrice per pubblicizzare ?la prima birra geneticamente
modificata?, si rivolge visibilmente ai giovani, incoraggiandoli a
?rompere gli schemi e a catturare l?essenza
del prodotto, ad andare oltre le convenzioni?.
Navigando sul sito del Cedab, il ?centro di documentazione delle
agrobiotecnologie? (centro di pubbliche relazioni finanziato dal
network delle
aziende biotech Croplife, cioè
Monsanto, Syngenta, Bayer e così via), che pubblicizza in
Italia il prodotto, si può chiaramente prendere visione del
?taglio? editoriale della propaganda ?Kenth?: un giovane con tanto
di piercing, occhialoni neri e acconciatura modaiola ma ribelle,
è contornato dalle scritte ?trans-gressivo, trans-genico,
trans-cendentale?, al centro delle quali c?è appunto un
grande ?Go trans?. ?Kenth si rivolge a un consumatore dalla forte
personalità che non ha paura di rompere gli schemi e che,
anzi, tende a muoversi controcorrente, creando nuovi trend di
consumo e stili di vita. Un leader caratterizzato da una forte
capacità critica, che ha fiducia nel futuro e
nell’innovazione tecnologica. Un consumatore dalla mentalità
aperta a cui piace distinguersi, e che va oltre le convenzioni e lo
status quo?.
a ci dice invece il Cedab dei risultati delle ricerche sul mais Bt, la cui
commercializzazione era stata respinta nel settembre 2004
dall’Unione Europea per mancanza di dati sulla sicurezza, poi
approvato nonostante la
scarsità di studi indipendenti sui suoi effetti
sulla salute umana. E’ proprio il mais Bt ad aver
fatto scoppiare il primo grave allarme sugli Ogm, quando gli studi della Cornell University
dimostrarono che era letale per le farfalle monarca.
Non ci parla, il Cedab, della ricerca effettuata dal norvegese
Institute for Gene Ecology, dalla
quale emerge che ?39 persone che vivono nelle vicinanze di un
terreno coltivato a mais Bt hanno sviluppato, nel periodo in cui il
mais rilascia il polline, reazioni allergiche a livello di vie
respiratorie, pelle e intestino, accompagnate da
febbre”…
Le analisi del sangue hanno confermato una reazione immunitaria
alla tossina Bt. E, sempre dallo stesso istituto: “il promotore
usato per attivare i transgeni inseriti nella maggior parte delle
piante Ogm è stato ritrovato intatto negli organi dei ratti
tre giorni dopo che gli animali avevano ricevuto un unico pasto con
alimenti transgenici?. (Fonte Jeffrey M. Smith, fondatore
dell’Institute for Responsible Technology, autore di L?inganno
a tavola).
Sul mais Bt si sono pronunciate sia l?Environmental Protection
Agency che la Food and Drug Administration americane: la tossina
espressa da questo tipo di mais differirebbe per 7 aminoacidi da
quella originale del batterio Bt. “Le Monde” alcuni mesi fa
ha anche pubblicato una ricerca della
Commissione di genetica biomolecolare francese (Cgb), secondo la
quale il MON863 risulterebbe pericoloso per i topi: nutriti per 90
giorni con il mais Bt hanno mostrato malformazioni come l’aumento
significativo dei globuli bianchi e dei linfociti, l’abbassamento
dei globuli rossi, l’aumento significativo della glicemia e
presenza di anomalie infiammatorie dei reni.
In seguito ai dati di questa ricerca, il governo tedesco ha chiesto
ufficialmente a Monsanto di consegnare lo studio completo. Ma il
colosso biotech si è rifiutato di consegnare il materiale
richiesto: si tratta “di informazioni commerciali riservate”.
Alla salute!
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