Una sfogliata di pasta fillo con un delizioso contrasto dolce salato, dovuto alla presenza dei cipollotti caramellati e del camembert .
BSE: perchè è il prodotto degli allevamenti intensivi
di Gianluca FelicettiResponsabile LAV Campagna Allevamenti Intensivi
PERCHE’ MUCCA PAZZA E’ IL PRODOTTO DEI MODERNI ALLEVAMENTI
INTENSIVI.
Negli ultimi anni si sono verificate in Italia e in Europa
emergenze sanitarie gravissime legate alla zootecnia, ovvero
all’allevamento intensivo. Si è rivelata fatale per gli
esseri umani l’assunzione di carne proveniente da bovini ammalati
di encefalopatia spongiforme bovina (Bse); ammalati perché
nutriti con farine animali provenienti da loro simili. Erbivori
regrediti a cannibali nella corsa a produrre di più a bassi
costi. La “mucca pazza” (come le altre recenti emergenze: afta
epizootica, polli e pesci alla diossina, maiali agli ormoni, uova
alla salmonella) è figlia della vera follia: aver ridotto
gli animali a macchine.
L’emergenza della “mucca pazza”, costosissima per i contribuenti
europei, è il prodotto di un sistema zootecnico incentrato
nella produzione di enormi ed inutili quantitativi di carne, latte
e uova a bassissimo costo. La somministrazione delle farine animali
per i bovini è l’aberrazione più evidente di un
sistema che ha ridotto milioni di animali a semplici macchine di
trasformazione violandone tutte le caratteristiche etnologiche,
arrivando a somministrare sostanze nocive come antibiotici e
promotori della crescita.”Mucca pazza” è solo uno dei
prodotti dell’allevamento intensivo; solo nel corso dell’ultimo
anno sono emerse: l’influenza aviare che ha ucciso dodici milioni
di polli, il morbo della lingua blu che ha costretto all’uccisione
di oltre duecentomila pecore, l’afta epizootica e i polli alla
diossina. Le ricorrenti crisi sanitarie dimostrano
l’insostenibilità delle “fabbriche animali” sia per gli
animali stessi che per la salute dei consumatori.
L’impatto numerico dell’epidemia è un’incognita,
poiché non si conosce il tempo di incubazione. Diversi
scenari prevedono nei prossimi anni un numero di vittime umane
variabile fra le tremila e le 130mila. Sempre che le farine di
carne davvero non si usino più.
Altri rischi di infezione sono taciuti. L’influenza aviaria che
periodicamente colpisce polli e tacchini padani di allevamenti
intensivi è molto vicina, come patologia, al ceppo virale
H5N1 che qualche anno a Hong Kong uccise alcune persone. Pochi anni
dopo, sempre a Hong Kong, si manifestò un altro ceppo
pericoloso, l’H9N2, stroncato con esecuzioni di massa. Anche gli
abbattimenti sanitari di polli e tacchini in Italia nascondono il
timore di questa pericolosa – e possibile – mutazione. Le ispezioni
compiute nel quadro dei controlli sulla Bse hanno portato alla
scoperta di un vero e proprio mercato clandestino, con animali
importati illegalmente e poi spacciati per italiani, animali
alimentati con farine di carne, bovini macellati senza
autorizzazione Usl di idoneità al consumo umano, allevamenti
che hanno aumentato la produzione di carni “alternative” usando
mangimi proibiti contenenti, fra l’altro, diossina. Un altro
allarme periodicamente lanciato è quello della salmonella
portata dalle uova. Poi si dimentica.
I costi di “mucca pazza”.
Se la zootecnia ottiene sovvenzioni pubbliche quando tutto va bene,
ne ottiene di più in caso di crisi. La crisi della “mucca
pazza” dal 1996 in poi ha quasi portato l’ Unione Europea alla
bancarotta. Secondo le previsioni delle autorità
comunitarie, all’inizio della crisi fino alla fine dell’emergenza
nei diversi paesi colpiti, gli stati membri avranno speso
l’equivalente di 40.000 miliardi di lire; oltre un quarto sono
stati regalati alla Gran Bretagna negli anni scorsi.
L’arsenale di misure pubbliche anti-Bse è assai oneroso: il
piano “acquisto e distruzione” copre i risarcimenti ai produttori
più i costi per l’abbattimento dei bovini oltre i 30 mesi di
età se non testati. Inoltre, costa l’incenerimento delle
parti a rischio; costa l’ammasso pubblico delle carni invendute;
costa stoccare e smaltire le farine animali a basso rischio,
poiché usarle è ormai proibito; costa compensare gli
allevatori delle perdite; costano gli sgravi fiscali a vantaggio di
allevatori e macellai. Nei soli primi sei mesi del 2001 l’Italia ha
stanziato 900 miliardi per l’emergenza.
- I cinque ‘NO’
agli allevamenti intensivi
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