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La danza Buto Definita “danza delle tenebre”, nasce in Giappone negli anni 60, durante una profonda crisi di identità causata dalle influenze occidentali
La danza Buto Definita “danza delle tenebre”, nasce in Giappone negli anni
sessanta, durante una profonda crisi di identità nazionale
causata dall’incontro con il modello di vita statunitense basato
sul consumismo e sulla materialità.
Gli Stati Uniti cercano di cambiare l’assetto sociale giapponese
importando la democrazia, una nuova costituzione e nuove leggi; si
assiste al processo di urbanizzazione che vede il passaggio dalla
vita rurale contadina a quella della metropoli che causa violente
manifestazioni di rivolta all’interno del paese.
La nuova danza d’avanguardia manifesta proprio questa crisi: essa
si pone sia come forma di contestazione contro la rigidità
imposta dal teatro No, sia contro la “Modern dance” nordamericana e
contro i tabù imposti dalla cultura giapponese.
I temi portati in scena hanno l’obiettivo di provocare, di scuotere
gli animi del pubblico e di fargli aprire gli occhi di fronte alla
vera essenza dell’essere umano: il desiderio sessuale e l’erotismo,
la violenza e la morte, sempre inseriti in un’atmosfera surreale,
quasi allucinatoria.
Corpi seminudi dipinti di bianco che compiono movimenti lenti
caratterizzati da gesti minimali, essenziali. Tipici sono la
retroversione degli occhi, la bocca spalancata, le gambe piegate e
i movimenti a terra.
Nel movimento i danzatori non cercano forme precise ma una libera
espressione del corpo. La danza è mezzo di esplorazione
interna, è ricerca di sé. Si tratta di svelare
l’inconscio attraverso la libera circolazione dell’energia e
l’esplorazione dello spazio circostante.
I padri fondatori furono Kazuo Ono e Tatsumi Hijikata, dal quale
deriva il nome Ankoku Buto (danza delle tenebre), infatti, doveva
inoltrasi nelle tenebrose profondità del corpo per divenire
la massima espressione delle energie vitali.
Il danzatore doveva perdersi totalmente, dimenticando la sua
identità, dimenticandosi di sé e del suo corpo. Egli
doveva donarsi senza riserve, liberarsi da qualsiasi
condizionamento trasformandosi in un puro flusso di energia.
Nel danzare si evocava un mondo primitivo, come rifiuto dei
principi razionali della modernità, del produttivismo e del
consumismo derivanti dal processo di urbanizzazione che stava
avvenendo in quegli anni in Giappone.
L’uomo, infatti, abbandona la vita nel villaggio caratterizzata
dalla semplicità, dall’amore per la famiglia e per il
prossimo per ritrovarsi solo come un anima vagante ed abbandonata
nella grande metropoli. La danza Buto allora diventa una pura
espressione dell’anima: il corpo del danzatore diventa un corpo
morto che sprigiona tutte le emozioni che in esso risiedono.
Anna Volpicelli
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