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Il radio documentario, definito come nobile incrocio tra reportage giornalistico e narrazione descrittiva, fino ad oggi ha prosperato nei precisi confini della radio.
In Italia, anche se
lentamente e con difficoltà, sta acquisendo sempre
più una volontà, oltre che narrativa e informativa,
sperimentale e didattica, talvolta d’intrattenimento culturale,
capace di diventare connettore di persone (ascoltatori) e
moltiplicatore di contenuti.
Grazie alle nuove tecnologie che permettono una diffusione sempre
più veloce della cultura, i tempi sono maturi perché
anche l’audio documentario possa diventare uno strumento
importantissimo per la circolazione di idee e progetti, ma per far
questo c’è bisogno di investimenti e risorse. “Mentre negli
ultimi anni per il documentario visivo c’è stata una sorta
di rinascita, per quello radiofonico abbiamo assistito via via ad
una progressiva riduzione di produzione, investimenti e spazi”,
racconta Andrea Giuseppini, produttore, co-fondatore e presidente
di Audiodoc, associazione nata cinque anni fa su iniziativa di un
gruppo di sei autori radiofonici, come tentativo di resistenza alla
scomparsa del documentario dalla radio pubblica italiana. “Nel
nostro Paese, il genere ha avuto grande successo e una copiosa
produzione in tempi passati per poi subire un drastico ripiego per
questioni di budget e azzeramento dai palinsesti della radio
nazionale”.
Oggi esiste un pubblico che manifesta un grande interesse per i
radiodoc e Radio Tre è l’unico soggetto che continua a
trasmetterne. All’estero, dove rispetto all’audio documentario ci
sono una tradizione e una consuetudine consolidate, oltre a risorse
e finanziamenti adeguati, esistono invece ottimi programmi
reality-based. In Italia, purtroppo, le radio tradizionali, i
grandi network privati, non hanno ancora colto a fondo l’importanza
e la vocazione attuale di questa forma di espressione sonora
nonché le sue enormi potenzialità.
Sul sito di Audiodoc si possono trovare una cinquantina di audio
documentari, alcuni realizzati direttamente dall’associazione,
altri autoprodotti da autori/ascoltatori che collaborano con
Audiodoc. Sono liberamente ascoltabili o scaricabili dal sito
www.audiodoc.it.
Quelli prodotti dall’associazione si possono acquistare online. Le
storie affrontano gli argomenti più disparati: quelle dei
migranti occupano un posto di rilievo, altre vanno dal racconto
personale di un lutto familiare, ai documentari di ricostruzione
storica, e ancora, memorie, reportage, inchieste, soundscapes,
dialoghi. Tra l’Italia e le principali radio pubbliche europee, una
per tutte la BBC, ci sono delle differenze abissali in termini di
spazi e investimenti dedicati al radiodoc. Tuttavia, malgrado
questo divario (eppure il radiodoc è una forma di racconto
maneggevole e costi di produzione contenuti) è interessante
notare come sia proficua la collaborazione di coloro che operano
come indipendenti nel mondo del documentario sonoro, con una
pluralità di attori sociali internazionali o presenti sul
territorio.
Audiodoc, per esempio, insieme con Aidos, importante ong italiana,
ha organizzato in alcuni paesi africani diversi workshop rivolti a
giornaliste/i delle radio, per la produzione e l’uso dell’audio
documentario come mezzo informativo per incentivare l’abbandono
della pratica delle mutilazioni genitali femminili. Invece, i
radiodoc di Docusound (www.docusound.it),
nato come un esperimento nel 2009, vengono utilizzati per scopi
educativi/formativi nelle scuole, festival, associazioni e
istituzioni per non vedenti o ipovedenti (L’Unione Italiana Ciechi
Piemonte, l’Unione Italiana Ciechi Lombardia e altre sezioni
regionali). “Raccontiamo storie che difficilmente sono affrontabili
in video”, dice Fabrizia Galvagno, produttrice Docusound, “alcuni
nostri autori hanno scelto di concentrarsi su storie che parlano di
carcere, disabilità, su argomenti volutamente rimossi o
dimenticati che restituiscono all’ascoltatore realtà e
verità. Abbiamo constatato che l’audio ha enormi
potenzialità di raccontare ed esplorare gli aspetti
più intimi della realtà, anche perché un
microfono è assai meno invasivo di una telecamera.
Ciò rende unica l’ esperienza del radiodoc per due motivi:
gli intervistati si mostrano più disponibili se non sono
visibili, e gli ascoltatori partecipano attivamente all’ascolto
creando con la fantasia immagini proprie”.
Dunque, l’obiettivo comune e condiviso dai produttori e dagli
autori di radiodoc è semplicemente quello di rileggere la
realtà da un’altra prospettiva, senza il filtro delle
immagini, tornare al suono per recuperare la sostanza, e
perché no, ritrovare anche il fascino antico e dimenticato
della cultura orale.
[Foto di Docusound]
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