Cibo e rapporto umano

Operare nel mondo dell’emarginazione vuol dire imparare ad accettare veramente e profondamente l’altro, per fargli trovare dignità.

Attualmente volontario in carica al Consiglio Direttivo della Cena
dell’Amicizia, associazione milanese che si occupa di gravi
emarginati, Paolo Marcenaro è stato funzionario dei servizi
sociali del comune di Milano per trentasei anni. In particolare ha
vissuto i problemi della grave emarginazione sociale come
coordinatore dei centri di accoglienza per stranieri e infine come
direttore del dormitorio comunale di viale Ortles.

In due parole, quale è la tua definizione di Cena
dell’Amiciza?

Al di là di tutte le iniziative e attività di questa
associazione, che sono spiegate nel nostro sito www.cenadellamicizia.it, direi
così di getto che è una compagnia di persone di
cuore. Ed è proprio il legame di affetto e di stima che
avevo con Ermanno Azzali, il suo straordinario fondatore, che mi ha
portato a dare alla Cena il mio contributo come volontario.

I volontari sono persone che hanno scelto di mettersi
sistematicamente in relazione con questo mondo dell’emarginazione.
I vostri “ospiti”, come voi li chiamate, sono persone senza fissa
dimora, malati psichici, alcolisti, anziani soli e indigenti,
persone a cui si è sgretolata la vita affettiva e familiare.
Insomma, tutto il mondo che per definizione è la ragion
d’essere di buona parte del volontariato: quali sono nella tua
esperienza le caratteristiche di base richieste ai tutti i
volontari che operano in questo ambito?

Innanzitutto la capacità di prendere coscienza dei propri
limiti e di staccarsi dai propri problemi personali e vorrei dire
schiettamente che se non ci arriva il singolo volontario ci deve
arrivare il gruppo, anche allontanando la persona che non viene
ritenuta idonea a ricoprire questo ruolo, soprattutto con un’utenza
problematica come quella della Cena. Fare volontariato non è
insomma un diritto, non tutti sono adatti a svolgere questo compito
e aggiungo che oltre al cuore ci vuole il cervello: questo come
premessa dura ma doverosa. Seguono la capacità di mettersi
in relazione positiva col gruppo e quella di ascolto e di
osservazione, indispensabile per arrivare a un punto fondamentale
che è l’ accettazione della persona-ospite per quella che
è, al di là di come la si desidererebbe o peggio la
si vorrebbe trasformare: si può lanciarle dei messaggi,
farle delle proposte, ma facendole capire che la si accetta
veramente e profondamente, perché solo così si
sentirà libera e riuscirà a trovare in sé la
dignità, la fiducia e le risorse per migliorare la propria
vita. Le imposizioni hanno qui più che mai le gambe
corte!

Insomma, una bella doccia di umiltà che lava via una
serie di falsi miti sul volontariato!

Certo, a iniziare da quello del buon benefattore-salvatore,
ancora tanto diffuso, ma deleterio perché porta
all’assistenzialismo bieco e non lasciando margine alla persona per
quel riscatto che parta da sé distrugge ogni
possibilità di intervento e fa cronicizzare la posizione
“comoda” del poveretto-emarginato- assistito a cui tutto è
dovuto. Lasciarsi andare è più facile che reagire,
per tutti, e più che mai in condizioni di disagio e
povertà.

La povertà è il leit motiv che accompagna la vita
di tutte queste persone. Ma si tratta solo di povertà
economica?

Guarda, in tutti gli anni che ho trascorso accanto a loro mi sono
convinto che spesso la povertà economica, quella vera e
grave, magari unita a quella culturale, trascina con sé la
mancanza di opportunità di intessere una solida rete di
rapporti affettivi nel senso più largo del termine: se quei
pochi legami affettivi si frantumano, è più facile
che quella persona si trovi completamente sola e frustrata e le si
aprano le porte dell’emarginazione, della malattia psichica,
dell’alcolismo, della delinquenza e via discorrendo. A Milano si
distribuisce ovunque gratis fin troppa roba da mangiare e da
vestirsi, talvolta anche di scarto… (sic!), ma non affetti e
relazioni umane, che sono la vera povertà di questa e altre
metropoli e di cui guarda caso non ci sono scarti… E in questo la
Cena dell’Amicizia è sicuramente un passo avanti…

Vuoi chiudere con un’iniziativa della Cena che ti sta
particolarmente a cuore?

Cito volentieri quella nel nostro negozio di via Bezzecca, dove si
possono trovare manufatti dei nostri ospiti, ma che è in
piena evoluzione e che diventerà una finestra aperta ai
cittadini sul mondo degli ultimi, partendo dalla loro vita di tutti
i giorni, ma con un’angolatura nuova e forse anche un po’
provocatoria. Prendiamo ad esempio il cibo biologico, purtroppo
appannaggio per ora dei ceti benestanti, per questioni sia
economiche sia culturali: con la solidarietà dei “ricchi” si
potrebbe fare nel nostro negozio una sperimentazione unica nel suo
genere, un progetto “biopovero” che permetta anche agli emarginati
un’alimentazione più sana e che diffonda anche in questi
strati sociali svantaggiati quel messaggio che LifeGate ha
felicemente sintetizzato con nome di “ecocultura”… Perché
anzi non parlarne insieme?

Cornelia Pelletta
Associazione Cena
dell’Amicizia

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