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La primavera si chiude con temperature africane e speriamo di non doverci sorbire un luglio con piogge monsoniche. Il cambiamento climatico non si può più negare.
Mentre a giugno si resiste a un’afa ammorbante, che ci ha tenuto
imbevuti nel nostro sudore per settimane, molti hanno ancora ben
vivo il ricordo delle inattese gelate dello scorso aprile. Le
stranezze del clima aumentano e sono sotto gli occhi di tutti e non
basta considerarle inevitabili o sopportabili per esorcizzarne gli
effetti oggettivi e soggettivi.
La scienza,
oltre al tanto discusso effetto serra causato dall’uomo, ci
propone altre spiegazioni tampone: la ciclicità del
riscaldamento del pianeta, secondo alcuni; l’aumento della vegatazione,
per altri. Si cerca in tutti i modi di esorcizzare una nuova
sensazione che non si può ridurre alla solita
banalità:
“le stagioni non sono più le stesse”, ma va tradotto in
qualcosa di più profondo: una nuova forma di incertezza.
Questa sensazione non può essere vinta con le previsioni
ottenute grazie ai satelliti e agli studi degli esperti e neanche
viene sminuita dalla diffusione dei numerosi servizi meteo a
disposizione del cittadino.
L’incertezza ci fa percepire in modo più chiaro
l’allontanamento della civiltà umana dai cicli naturali. La
natura ha sempre avuto ritmi costanti, mai uguali ma sempre simili.
Ora, invece, si percepisce un cambiamento “oggettivo” nel clima.
Prima variava spesso rispettando certi canoni, ora il clima sembra
più stabile (nel senso che le fasi di bello o cattivo tempo
sono più lunghe), ma i canoni sono diventati molto
più elastici e imprevedibili.
L’uomo, forse per eccesso di orgoglio, ha finito col considerarsi
così forte da sentirsi indipendente dal tutto. Questo
è avvenuto perchè confidiamo ancora nel contesto
stabile e sicuro offerto dal pianeta, confermato dall’idea di un
automatico riequilibrio naturale. Ma per la prima volta nella
storia dell’umanità si ha l’impressione di aver toccato
qualche meccanismo naturale. Le nostre aspettative consolidate,
circa il ciclo delle stagioni e dei fenomeni collegati, flusso
delle acque, orientamento dei venti, movimenti delle masse d’aria e
variazioni delle temperature, possono essere disattese da un
momento all’altro.
Il clima che “impazzisce” pone un dubbio iperbolico. “Cosa
succederà la prossima o una delle prossime stagioni se la
certezza dei cicli naturali verrà meno”?
Quasi tutti, di fronte a certe acrobazie climatiche, hanno
sensazioni strane. Non parliamo di comportamenti banali, come il
non sapere come vestirsi o in che giorno fissare una partenza, ma
di altro. La nostra percezione del clima è concreta
perché influisce direttamente sui nostri umori e anche nel
giorno dopo giorno, l’impatto pur meno percettibile è sempre
importante.
Nei periodi soffocanti di grande calura, come quello recente, ogni
volta si prospetta il rischio di attacchi di “ansia o stress
collettivo”, lo si avverte per il fatto che si parla soprattutto
del tempo e tutti si lamentano. Non è un caso che lo “stress
climatico” diventa notizia del giorno ed ecco comparire sugli
schermi colonnelli dell’aeronautica ed esperti di meteorologia per
spiegare l’anomalia e rassicurare la gente. Ma così si
allontana l’incertezza, non si vince.
Il perdurare di certi fenomeni, piogge intense o periodi di
siccità che siano, sbilancia il nostro modo di avvertire la
realtà e dopo un po’ di tempo affiorano nervosismi
inspiegabili. Il problema non può essere ridotto a cause
personali e non coincide con le incertezze classiche della vita
sociale. I problemi economici del Paese, l’idea di accettare o
perdere un lavoro ci appaiono come questioni risolvibili,
indipendentemente dalle scelte. In occidente siamo abituati a
vivere nell’abbondanza, la maggior parte di noi è in grado
di progettare il futuro, di guadagnare e risparmiare e di
programmare le scelte. Ma tutto questo ha senso solo nella
sicurezza che il mondo vada avanti, più o meno come ha
sempre fatto. L’ansia climatica pone invece questo dubbio a un
livello in cui ci sentiamo impotenti e in balia degli eventi. Una
sensazione antica e quasi dimenticata per l’uomo civilizzato di
oggi, abituato a dominare gli eventi.
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