
Vida Diba, mente di Radical voice, ci parla della genesi della mostra che, grazie all’arte, racconta cosa significhi davvero la libertà. Ed esserne prive.
Intervista a Silvia Amodio, penna e obbiettivo al servizio degli animali per raccontare, attraverso le immagini, il mondo interiore di chi ci sta accanto… dai tempi di Adamo ed Eva.
Giornalista, fotografa, artista. Laureata in filosofia con una
tesi, svolta alle Hawaii, sulle competenze linguistiche dei
delfini, ha collaborato come giornalista free-lance con settimanali
e mensili scrivendo sempre di animali e accompagnando gli articoli
con le sue foto. La fotografia d’autore è ora la sua
occupazione principale con l’obiettivo di articolare un dialogo
alla pari fra uomo e animale e, al tempo stesso, fra approccio
creativo e approccio scientifico. Il suo lavoro artistico è
rappresentato dalla galleria Milli Pozzi.
Come si sta modificando la consapevolezza e
l’atteggiamento delle persone nei confronti degli
animali?
Da un punto di vista civico, in generale, c’è più
attenzione verso le tematiche che riguardano i problemi ambientali
e di conseguenza anche gli animali, tuttavia, siamo ancora lontani
da un rapporto uomo-animale sano e paritario. Basti pensare alle
torture di cui milioni di animali sono vittime ingiustificate ogni
giorno, in nome di chissà cosa: vivisezione,
allevamenti intensivi, ma anche feste di paese, circhi,
combattimenti clandestini… Nel nostro paese solo da pochi mesi la
legislazione riconosce loro dei diritti, non considerando
più l’animale come semplice “cosa” ma riconoscendone
pienamente la natura di essere vivente e senziente.
Cosa possiamo fare per loro?
Volerli e saperli vedere. Imparare a considerarli e relazionarci
con loro come soggetti e non oggetti. Perdere la visione
antropocentrica del mondo per lasciare spazio ad una visione
biocentrica. L’uomo è solo una piccola
componente della biosfera, deve ridimensionare la sua posizione e
accettare gli animali per come sono, senza il bisogno di
antropomorfizzarli. Pare che l’unico modo per elevarli a uno stato
rispettoso sia quello di farli assomigliare a noi, quindi tendiamo
a proteggere gli animali più “carini” o più
“intelligenti”. Dobbiamo accettare l’alterità sotto
qualsiasi forma. La creazione della nostra stessa identità
culturale passa attraverso il confronto con l’alterità
animale, sostiene lo zooantropologo Roberto
Marchesini, è dunque un bene per noi stessi e per la nostra
specie riconciliarci con la natura.
Cosa possiamo insegnare ai bambini sugli
animali?
Cosa possiamo insegnare ai bambini sugli
animali?
Partire proprio dalla base, incominciare ad avere un rapporto con
gli animali. Moltissimi bambini non hanno alcuna
relazione con gli animali, non hanno mai visto, in vita loro, una
gallina, un mucca, un maiale; sono abituati a pensarli solo come
cibo… è una perdita enorme. Indubbiamente
l’industrializzazione e l’urbanizzazione hanno radicalizzato questa
separazione, sia a livello cognitivo che spaziale: gli animali che
prima vivevano con l’uomo ora sono stati segregati in aree
appositamente create per loro – basti pensare, per esempio, agli
allevamenti intensivi. Per molti bambini il rapporto con animali
che non siano i comuni animali d’affezione è molto raro. I
genitori sono indubbiamente responsabili e colpevoli di questa
perdita, perché basterebbe una passeggiata in campagna, in
alternativa alla televisione e ai giochi elettronici, per
recuperare un po’ questo rapporto.
Ormai si sa che crescere in compagnia di un animale è, da un
punto di vista psicologico, molto sano. Negli ultimi anni si sta
cercando di verificare l’ipotesi secondo la quale un atteggiamento
empatico e compassionevole nei confronti degli animali può
estendersi anche alle persone.
Cosa ti hanno insegnato in tutti questi anni di
amorevole attenzione nei loro confronti?
Tantissimo. Gli animali mi insegnano ogni giorno qualcosa; non
riesco a concepire la mia vita senza gli animali. Convivere con una
creatura che non appartiene alla nostra specie significa trovare
una forma di comunicazione nuova, una complicità molto
interessante. E’ necessario stare attenti alle sfumature,
interpretare uno sguardo, una postura, decodificare un miagolio, un
guaito. Un esercizio molto utile, secondo me, per i futuri genitori
che, alle prese con cuccioli umani, si ritrovano a fare lo stesso.
Sarà un’idea bislacca la mia ma mi sembra che chi ha avuto
animali è molto più disinvolto e meno apprensivo
nell’allevare la prole umana perché è abituato ad
interpretare i messaggi non verbali.
Lealtà, fedeltà, dignità, coraggio sono
termini che descrivono le qualità degli uomini, doti che ben
si addicono anche agli animali.
Sono molto frequenti gli episodi di cronaca che ci raccontano di
cani che si lasciano morire di fame alla morte del padrone, che
ritornano a casa percorrendo centinaia di chilometri, ma anche di
delfini che salvano persone e di scimmie che vegliano i figli
morti. C’è una ricca letteratura che racconta di bambini
allevati da animali, bambini-lupo, bambini-cane, bambini-gazzella.
Animali che allevano come propri individui di altre specie, inclusa
quella umana.
Gli animali fanno bene alla salute, tutti ormai conoscono i
benefici della pet therapy, e poi fanno ridere. Chi non si
intenerisce davanti all’andatura dinoccolata di un cucciolo o non
si diverte guardando gli animali che giocano e si rincorrono?
Tra i vari animali che vivono con me ho una gallina, tale Rosetta,
che ogni giorno mi fa ridere tantissimo: al mattino, appena sente
il rumore della tapparella si fionda in cucina per mangiare dalla
ciotola del gatto, e se mi distraggo, quatta quatta, arriva in
salotto per sedersi in poltrona. La sua più grande gioia
è potermi osservare dalla poltrona mentre lavoro al mio
tavolo o accomodarsi sulle ginocchia quando faccio colazione. La
mia giornata inizia sempre così.
Quali delle iniziative concrete che possiamo mettere in
campo aiuta di più gli animali?
Non essere
indifferenti, ribellarsi di fronte a quello che non ci piace,
modificare anche piccoli atteggiamenti quotidiani, diminuire l’uso
della carne (per produrre 1 kg di carne si usa una quantità
di acqua pari al consumo di una famiglia intera per un anno!) Avere
in generale un atteggiamento più empatico e compassionevole
nei confronti degli animali. Insegnare ai bambini la ricchezza
della diversità.
Qual è lo scopo della tua attività
fotografica?
Accorciare le distanze tra il mondo umano e quello animale. Per
questo quasi tutti i soggetti ritratti ci fissano, per creare un
legame simbolico tra il nostro mondo e il loro. Il mio lavoro,
intenzionalmente ibrido, è un pretesto per creare un dialogo
tra le discipline. I miei progetti sono sempre concepiti in
collaborazione con studiosi e collocati in contesti scientifici. Ho
preparato un’animazione che è stata presentata al convegno
di biologia evoluzionistica a Firenze e al convegno mondiale di
primatologia al Lingotto di Torino: l’inserimento nel programma
scientifico di un lavoro artistico e dai forti contenuti
emozionali, ha sempre un forte impatto.
Che cosa è per te la
felicità?
È una domanda troppo complessa alla quale non so rispondere
su due piedi, però so che sono felice quando fotografo: sono
talmente concentrata da non sentire più il freddo, la fame,
il caldo, perdo totalmente la cognizione del tempo, divento sorda e
cieca, la mia testa si sgombra di pensieri e preoccupazioni, sono
sola, completamente sola, con l’animale che voglio ritrarre.
Allo stesso tempo i miei sensi sono amplificati, come se
riaffiorassero dal passato più remoto: gli odori, i rumori,
ogni piccolo movimento non mi sfugge, mi sento un tutt’uno con
l’animale. E l’animale fa lo stesso con me: mi studia, mi osserva,
mi scruta, si avvicina, mi annusa, mi sfiora, cerca un contatto con
gli occhi o con il corpo.
Si crea nell’aria una leggera tensione che unisce i nostri sguardi,
anche solo per una frazione di secondo; in quel momento capisco di
essere stata accettata e solo allora posso scattare la mia
fotografia, molto spesso una sola. E’ una sensazione
meravigliosa.
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