Da Tocai friulano a Friulano, senza perdere tempo!

Dopo il 31 marzo 2007 i vini prodotti in Friuli Venezia Giulia non potranno più usufruire della denominazione “Tocai”.

Questa la decisione della Corte europea del Lussemburgo, che ha
imposto il divieto in relazione all’accordo stipulato tra Comunita’
europea e Ungheria nel 1993.
Il responso è chiarissimo e senza appello: la Corte europea
di giustizia del Lussemburgo, alla quale i produttori friulani si
erano appellati sperando potesse bloccare gli accordi siglati nel
1993 tra la Comunità europea e l?Ungheria, ha decretato che
dopo il 31 marzo 2007 non sarà più possibile
utilizzare la denominazione Tocai friulano per i vini italiani
ottenuti da questo principe dei vitigni bianchi coltivati in terra
di Friuli.

Il verdetto della Corte europea di Giustizia mantiene fede
all?impegno di tutelare il Tokaji magiaro, e ha respinto il ricorso
presentato dalla Regione Friuli Venezia Giulia e da altri Enti,
ricordando che le denominazioni Tocai friulano e Tocai italico non
costituivano indicazioni geografiche, bensì il nome di una
varietà di vite riconosciuta in Italia, e che pertanto, in
virtù delle norme sulla proprietà intellettuale della
WTO, in caso di omonimia tra un’indicazione geografica e una
denominazione che riprende il nome di un vitigno è la prima
che deve prevalere.

Poco importa, a questo punto, ricordare e sottolineare con
forza, come hanno fatto giustamente i vignaioli friulani, le
clamorose, sostanziali differenze tra il Tocai friulano italiano,
un vino bianco secco (splendido con il pesce), ottenuto dal vitigno
Tocai, ed il Tokaji ungherese, un vino dolce e liquoroso, che nasce
da un mix di tutt?altre uve, denominate Furmint, Harslevelu e
Muskat lunel, coltivate in Ungheria, nella regione di Tokaji.

Anche se il Ministro delle Politiche Agricole e Forestali,
Gianni Alemanno ha dichiarato che “la sentenza della Corte di
giustizia europea non esclude la possibilità di ottenere
deroghe dalla Commissione europea, a patto però che queste
vengano concordate con il governo ungherese? e promette di svolgere
entro l’estate ?una missione diplomatica in Ungheria per cercare di
trovare un’intesa con quel Paese, per consentire anche all’Italia
di continuare a produrre il Tocai senza ricorrere a un altro nome?,
occorre dire chiaro e netto, una volta per tutte, che le residue
possibilità di salvaguardare il nome Tocai friulano in
Italia oltre il marzo 2007 sono esclusivamente affidate alla
benevolenza del Governo ungherese, e al dialogo tra Roma e
Budapest.

E pur con tutto l?ottimismo possibile e auspicabile, non sarei
particolarmente fiducioso sulla disponibilità del governo
magiaro a venirci incontro, visto che dall?accordo tra la
Comunità europea e l?Ungheria sono trascorsi qualcosa come
13 anni, e non due giorni, e tenendo conto che l’Ungheria è
stata costretta a difendere il marchio Tokaji non soltanto contro
l’Italia, ma anche contro la Francia e la Slovacchia, e ultimamente
anche contro l’Australia che commercializza un vino Canberra
Tokay.

Inutile cullare residue illusioni, e lamentarsi che nel marzo
2007 verranno cancellati tre secoli di storia. Quello che occorre
urgentemente fare e che inspiegabilmente non è stato fatto,
preferendo dedicarsi a generosi ricorsi, battaglie legali,
presentazioni di documentazioni storiche, memorie, ecc., belle
cose, ma tutte inutili, è non perdere più altro
tempo. E decidere, una volta per tutte, e soprattutto comunicarlo a
chiare lettere ai consumatori, con una comunicazione mirata ed
efficace, come si chiameranno i vini che oggi recano in etichetta
la dizione Tocai friulano, visto che questa storica dicitura, tra
meno di due anni, e non tra un secolo, dovrà andare in
soffitta. E trattandosi di una produzione importante, che comprende
una estensione di quasi 1.600 ettari, e non marginale o di nicchia,
è stato indubbiamente un errore strategico non aver
provveduto tempestivamente a farlo, (pur tenendo sempre aperta la
finestra di un eventuale accoglimento dei ricorsi presentati),
visto che nel mondo del vino la comunicazione è fondamentale
e non si può improvvisarla di certo dall?oggi al domani.

Capisco benissimo l?amarezza dei produttori friulani, di Ornella
Venica, neopresidente del Consorzio Vini Doc Collio, che si vedono
defraudati di un nome storico ?perché il Tocai è
intimamente legato alla storia della viticoltura friulana?, e le
bellicose intenzioni di produttori bandiera come Marco Felluga che
promette, se sarà necessario, di vendere il suo Tocai
friulano ?con la denominazione di ?Toccai, l?antico nome
seicentesco del nostro vino friulano, anche a costo di rischiare
sequestri e cause?. Va ricordato però che i francesi, che
avevano lo stesso identico problema, per il loro Tokay alsaziano,
che storicamente nasce da un uva del tutto diversa come il Pinot
gris, hanno risolto da tempo, e con lungimiranza, il problema,
affiancando al nome Tokay la dizione Pinot gris. Così,
quando nella primavera 2007 dovranno rinunciare all?utilizzo del
nome Tokay in etichetta, avranno da tempo abbondantemente abituato
i consumatori ad identificare quel vino con il Pinot gris e non si
troveranno di fronte al problema d?inventare un nome e di renderlo
noto, che d?ora in poi si pone per i produttori friulani.

Circolano diverse ipotesi, più o meno fantasiose, sul
nome che debba prendere il posto di Tocai friulano, da Jacot,
palindromo di Tocai (anche se con la j) ad altre più
cervellotiche. L?unica ipotesi seria, la più forte e
accreditata, è quella che vuole sia Friulano tout court a
prendere il posto in etichetta di quel Tocai friulano che sinora
identificava il nome del vitigno (che resterà tale) ed il
nome del vino. Una buona soluzione, perché il Tocai friulano
era e resta il bianco F(f)riulano per antonomasia. Ma, consegnati
agli archivi e alla memoria orgogliosa di belle battaglie sostenute
con forza e vigore, anche se perse, i ricorsi alle carte bollate e
ai tribunali, e le onerose spese legali, cari amici produttori
friulani, sbrigatevi a decidere ufficialmente questo bel nome, a
registrarlo e a comunicarlo ad appassionati e consumatori.
Perché non c?è davvero più tempo da
perdere.

Franco Ziliani
[email protected]

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