Ecco come siamo cambiati a tavola

Spendiamo il 34% in meno rispetto a trent?anni fa, compriamo cibi biologici e andiamo poco nei fast food,  eppure?

Dopo l?affitto e le bollette, la prima voce di spesa per le
famiglie italiane è rappresentata dall?alimentazione: dai
350 ai 415 euro al mese a famiglia, secondo i dati presentati
all?interno del convegno ?Cum-sumo?, organizzato dalla Regione
Piemonte, svoltosi al Lingotto di Torino lo scorso 5 ottobre.

Come è cambiato il consumo alimentare negli ultimi
trent?anni? L?analisi delle abitudini degli italiani a tavola
è un “termometro” per capire anche le condizioni di vita
all?interno della propria società di appartenenza?

Il convegno ha così risposto a queste due domande: negli
anni Settanta per il cibo spendevamo il 34% in più rispetto
a oggi. Complice della riduzione della spesa sarebbe il rincaro dei
prezzi al dettaglio, oltre a una maggiore attenzione a ciò
che mettiamo nei nostri piatti. Non a caso, stanno tramontando
alcuni modelli di consumo del passato, come il fast food, per fare
spazio all?alimentazione
naturale
e al biologico, forse anche in conseguenza
alle paure suscitate da scandali che
coinvolgono i settori sanitario e alimentare (vino al metanolo,
OGM,
“mucca pazza”).

Questo dato è confermato anche dall?aggiunta nel paniere
dei prezzi Istat del 2004 della voce “cereali biologici”, fatto mai
avvenuto prima e ancor più indicativo se pensiamo che
l?inserimento o l?esclusione di prodotti commerciali nel documento
dovrebbe restituire un?immagine verosimile del nostro stile di
vita. Bisogna comunque dire che l?aggiornamento delle voci di
consumo non è mai così rapido e solitamente registra
uno stato di cose già in atto, ovvero una tendenza nei
consumi già ben consolidata: per fare un esempio basta
pensare al lettore dvd, entrato solo nell?ultimo resoconto al posto
del “vecchio” videoregistratore.

Ma questa Italia apparentemente salutista nasconde una prassi
quotidiana diversa: cattive abitudini ed errori alimentari sono
ancora molto radicati, come testimonia la crescente diffusione di
malattie legate alla sfera della nutrizione quali l?anoressia, la
bulimia e, soprattutto, l?obesità, vero e proprio “male
sociale” delle nazioni industrializzate al pari della malnutrizione
per i paesi più poveri.

Resta, quindi, da percorrere una strada ancora molto lunga verso
una corretta educazione alimentare, sicuramente non favorita dai
modelli (mediatici e non) diffusi a livello mondiale: la
globalizzazione ci ha abituato all?omologazione anche in campo
nutrizionale. Infatti, come ha teorizzato il sociologo George
Ritzer, fra i relatori del convegno di Torino, viviamo in un?epoca
di “mcdonalizzazione della società”, in cui l?hamburger di
McDonald è diventato una specie di “unità di misura”
acquistabile in ogni parte della terra con le stesse
caratteristiche e un identico rapporto qualità/prezzo.

Visto che la dieta
mediterranea
è da anni indicata dai
nutrizionisti di tutto il mondo come il migliore regime alimentare
possibile, recuperare una tradizione culinaria radicata nel
territorio come la nostra, magari arricchita dalle colture “bio” e
aggiornata con varianti provenienti dalla cucina etnica di
altri popoli, potrebbe rappresentare un?alternativa pratica e
soprattutto salutare.

Olimpia Ellero

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