Ecologisti e aborigeni uniti nella protesta

L’Australia ecologica è minacciata dalla costruzione di un deposito di scorie nucleari e dal rischio di vedere prosciugato il suo più grande bacino idrico. Gli aborigeni manifestano a fianco degli ambientalisti.

Assieme alle associazioni ecologiste, sfilano con la ferrea
volontà di difendere la propria terra, gli aborigeni. I
fattori che hanno scatenato le proteste protrattisi per intere
settimane davanti alla sede del governo sono due. Il primo legato
alla realizzazione di un sito per interrare migliaia di fusti
contenenti scorie nucleari, l’altro, relativo al prosciugamento del
Grande Basamento Artesiano, una tra le riserve idriche più
preziose dell’Australia.

Tutto ha inizio circa due anni fa, quando venne dato l’annuncio
che, a pochi chilometri di distanza da Coober Pedy, il più
grande centro minerario di opale del mondo, sarebbe stato
impiantato un deposito nazionale di scorie nucleari.
La zona prescelta, chiamata Billa Kalina, è vasta circa 67
mila chilometri e già negli anni ’50 e ’60 fu sede di test
nucleari che, con il tempo, causarono malattie ai suoi ignari
abitanti.

Per fronteggiare questo problema ambientale un gruppo di donne
aborigene, ha lanciato una campagna chiamata Irati Wanti: “il
veleno, lascialo perdere”. Le Kupa Piti Kungka Tjuta, questo il
nome del gruppo, è formato da dodici donne anziane,
provenienti da differenti tribù. Loro stesse hanno contratto
vari disturbi dopo il decennio di test a Maralinga ed Emu junction
e non vogliono che questo possa accadere di nuovo, alle nuove
generazioni.
Mentre le informazioni governative sostengono che il deposito
sarà altamente sicuro per 300 anni e ospiterà scorie
con una vita breve o media, gli ambientalisti ipotizzano che questo
deposito potrebbe in realtà servire a stoccare le scorie del
reattore nucleare di Sydney, che produce l’85% dei rifiuti
radioattivi del Paese. Inoltre che l’interramento dei fusti
renderebbe difficilmente monitorabili le possibili fuoriuscite di
materiale radioattivo, rischiando così di contaminare anche
le falde acquifere.

E qui nasce il secondo problema.
Il Grande Basamento Artesiano, collocato nell’area desertica di
Billa Kalina è uno dei più vasti bacini sotterranei
d’acqua del mondo e garantisce il 60% delle risorse idriche del
continente.

Qui, a Billa Kalina un’altra comunità aborigena, quella
degli Arabunna, ha il proprio territorio d’origine, e per
difenderlo combatte contro un altro nemico temibile: una miniera di
uranio situata a Roxby Down, circa 100 chilometri a sud-ovest dal
lago salato Eyre.

L’Olympic Dam, questo il nome del sito minerario, che offre lavoro
a 1.200 persone ed è gestito da una delle più grandi
società di esportazioni australiane (la Western Mining
Corporation) può estrarre fino a 42 milioni di litri d’acqua
al giorno per impiegarla nei processi di separazione dell’ossido di
uranio, causando come effetto immediato l’abbassamento e il
prosciugamento delle sorgenti d’acqua.

Due situazioni che non possono essere lasciate senza risoluzione,
due gruppi di aborigeni che non devono essere lasciati soli a
combattere contro interessi economici che trasformano il patrimonio
di tutti in discarica comune.

Elena Evangelisti

 

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