Farsi spazio per l’altro

Giovanni Ruysbroek, il grande mistico del XIV secolo, spiega come sia possibile abbracciare “l’altro” solo abbandonando il nostro io onnipotente.

«Il suo slancio di misericordia si volge anche alle
necessità temporali del suo prossimo ed alle numerose
sofferenze che sopporta. Lo vede, infatti, sopportare la fame, la
sete, il freddo, la nudità, la malattia, la povertà,
il disprezzo, i mille pesi imposti ai poveri, la tristezza causata
dalla perdita dei parenti, degli amici, dei beni terreni,
dell’onore, della tranquillità, tutto il peso, infine, che
schiaccia la natura umana, oltre misura. C’è di che
muovere a compassione un cuore buono e spingerlo a benevolenza
verso tutti. Questa compassione ed amore, esteso a tutti, vince
e scaccia il terzo peccato capitale che è l’odio e
l’invidia; poiché la compassione é una ferita del
cuore che fa amare indistintamente tutti gli uomini e che non
può guarire fintanto che vedrà qualche
sofferenza?» (Giovanni Ruysbroek L’ornamento delle nozze
spirituali).

In sintesi, dalla lettura di questo stralcio de L’ornamento
delle nozze spirituali, possiamo ricavare quanto segue:

– La persona è tale solo nella prospettiva del dono,
dell’impegno verso il volto che ha di fronte, insomma in un
contesto io-tu, ovvero nella dimensione della relazione e della
mutua comprensione, che nasce sempre dall’?individuazione, dal
riconoscimento dell?altro, la cui intimità costituisce le
colonne d’Ercole di quel mistero originario di cui è
portatore;

– la comprensione del tu genera responsabilità,
cioè il portarsi sulle spalle i vissuti, le esperienze
dell’altro, integrandoli con i nostri, relazionandoli
dialetticamente con la nostra biografia e difendendoli da ogni
minaccia esterna che voglia aggredirne la sacralità. Da
questo consegue che se io mi rendo responsabile nei confronti
dell’altro, anche l’altro sarà automaticamente investito
dalla responsabilità di comprendermi;

– il riconoscimento dell’altro è possibile solo se le
grammatiche esistenziali della passività si impongono su
quelle dell’attività esasperata.
In altri termini, siamo autenticamente accoglienti solo quando
facciamo dono di noi stessi, ci facciamo spazio per gli altri,
diventiamo anticipatori di fiducia.
Infatti, solo sostituendo al nostro io onnipotente, ipertrofico,
tutto attività, produttività, egoismo
efficientistico, un io docile, passivo, accogliente, capace di
abbandonarsi al tu dialogante riconoscendogli in anticipo fiducia,
sacralità, consistenza etica, dignità esistenziale,
è possibile instaurare il regno della mutua comprensione e
del radicato riconoscimento.

 

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