Nel 1610, Galileo Galilei fu invitato a mostrare il nuovo spettacolo delle
stelle a nobili, vescovi e scienziati di mezza Europa, suscitando ammirazione
Nei mesi successivi alla invenzione del cannocchiale, nel 1610,
Galileo Galilei fu invitato a mostrare il nuovo spettacolo delle
stelle a nobili, vescovi e scienziati di mezza Europa: da Venezia
ai Giardini del Quirinale, da Siviglia a Lisbona.
Suscitando avversioni e gelosie nell’intera comunità
scientifica dell’epoca, ciecamente fedele alle dottrine di
Aristotele. Tra i personaggi di spicco dell’epoca c’era il
peripatetico Cesare Cremonini, personalità dei Riformatori
dello Studio di Padova, illustre docente di Filosofia a Ferrara e a
Padova, che si ostinò nel rifiuto d’osservare il cielo col
cannocchiale, per non scorgervi le novità scientifiche che
incrinavano la dottrina aristotelica di cui era strenuo
difensore.
Pur conoscendo Galileo ed essendo con lui in rapporto di amicizia,
era un acerrimo avversario delle idee nuove e rifiutava di porre
l’occhio al cannocchiale. Disse: “Quegli occhiali imbalordiscono la
testa, basta! Non ne voglio sapere altro”.
Parlano chiaro, la citazione storica e il passo seguente tratto
dalla “Vita di Galileo”, biografia scritta postuma nel 1717 dal suo
discepolo Vincenzo Viviani:
“Non mancarono già de’ così pervicaci e ostinati, e
tra questi de’ constituiti in grado di pubblici lettori, tenuti per
altro in grande stima, i quali, temendo di commettere sacrilegio
contro la deità loro Aristotele, non vollero cimentarsi
all’osservazioni, né pur una volta accostar l’occhio al
telescopio; e vivendo in questa lor bestialissima ostinazione,
vollero, più tosto che al lor maestro, usar infedeltà
alla Natura medesima.”
Attilio Speciani

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