
Vecchi e nuovi ogm sono sottoposti alle stesse regole, ma ora le cose potrebbero cambiare. Una petizione vuole evitare questo rischio.
Ancora accesi i toni del dibattito sul decreto sugli OGM voluto dal Ministro dell’Agricoltura lo incontriamo per un’intervista… a caldo.
Quali sono i punti di forza del decreto sulla
coesistenza tra OGM e agricoltura tradizionale?
Il
decreto a mio avviso è valido. Non ci sono stati
significativi compromessi. L’unico elemento che abbiamo dovuto
aggiungere è porre un termine alla moratoria, alla
possibilità di creare i piani di coesistenza da parte delle
regioni. Però il decreto va letto con attenzione
perché: primo stabilisce un principio di
responsabilità molto forte, cioè chi inquina paga e
paga pesantemente e questo è il primo dato fondamentale;
secondo elemento è che vengono fatte due griglie: una
griglia a livello nazionale con delle regole di coesistenza
nazionali. E poi le Regioni, devono fare i piani di coesistenza; ma
le Regioni, in base al principio costituzionale, sono libere:
possono fare i piani di coesistenza ma possono anche dichiararsi
ogm-free come molte hanno fatto.
Questi elementi dimostrano che oggi noi abbiamo sicuramente in
Europa la legge più prudente rispetto alla questione degli
Ogm e questo è un dato estremamente importante e che
dovrà essere verificato rispetto alla realtà
dell’unione europea. Ricordiamoci che noi abbiamo già avuto
l’impugnativa della legge dell’ogm free della Carinzia e
l’impugnativa della legge tedesca. Sostanzialmente la legge non va
mai ragionata in termini astratti ma bisogna vederla anche in
controluce di quelle che sono le dimensioni europee.
Secondo i dati in suo possesso, cosa pensano gli
italiani degli Ogm?
Circa il 70% degli italiani non
vuole consumare prodotti ogm. Questo dato di fondo già di
per sè orienta il mercato Quando si è discusso di
questo decreto si è ragionato in termini sanitari e allora
c’è stata “l’impennata” di veronesi che diceva gli ogm
… non fanno male, è vero qui… non è
vero là…In realtà il problema non è
questo : noi siamo i primi produttori di biologico al mondo in
termini di imprese e secondi dopo l’Australia; tutto il nostro
territorio nazionale è coinvolto in produzioni Dop e Igp
cioè di produzioni tipiche e registrate a livello europeo.
Possiamo noi rischiare una contaminazione incontrollata di ogm
rispetto a questo patrimonio? Cosa è il vantaggio?E’stato
detto se non si affronta qualche rischio non si può
progredire. I rischi vanno affrontati, ma quando ne vale la pena.
Non quando sono controproducenti, quando non ci sono benefici
rispetto a questi rischi. Oggi nessuno è stato in grado di
spiegarci qual è il beneficio dell’introduzione in Italia
degli Ogm. Quindi perché affrontare anche un rischio
estremamente ipotetico? Noi dobbiamo fare delle scelte che sono
orientate alla qualità: parliamo di made in italy di
qualità di un modello di sviluppo ispirato
all’identità del territorio e poi non sappiamo fare altro
che copiare delle cose che forse funzionano bene nei grandi
territori agroindustriali dell’Australia, degli Stati Uniti
eccetera. E’ chiaramente un controsenso. Fermo restando che noi non
possiamo imporre le cose: ci deve essere il principio di
coesistenza, ma per questi motivi ci deve essere un principio di
precauzione molto forte.
Quindi rispetto dei valori, dell’identità, della
ricchezza della nostra agricoltura?
Ho un’impressione, non sono uno scienziato e quindi è solo
un impressione da cittadino: però a me pare che le
biotecnologie transgeniche – non stiamo parlando delle
biotecnologie in assoluto, ma di manipolazioni transgenica – sono
una ricaduta tecnologica di scarso livello rispetto a una frontiera
avanzata di biotecnologia che è molto ampia e che può
forse promettere molte altre cose. Utilizzare questo è come
– io faccio forse un esempio ridicolo – è come fare gli
“scaldabagni nucleari”. Io posso capire che uno fa il nucleare
perché deve produrre energia, è discutibile. Ma fare
gli Ogm in agricoltura è utilizzare una realtà molto
complicata, molto potente, per un esito totalmente banale.
L’agricoltura è cresciuta, selezionando con i normali
incroci genetici, le normali attività della biotecnologia
non transgenica se vogliamo chiamarla così. Oggi c’è
improvvisamente questa spinta per cui tutto si deve risolvere col
transgenico. Perché? Quali sono le realtà rispetto
una tecnologia che è immatura, che non è testata e di
cui gli effetti sistemici sono tutti da verificare.
LifeGate promuove un modello economico
people-planet-profit, ovvero in armonia con l’uomo e con
l’ambiente. Qual è il suo modello di sviluppo?
Non c’è dubbio che il rapporto tra agricoltura e territorio
è quello decisivo.e un prodotto italiano riesce a essere
venduto in Italia e nel mondo non è perché è a
basso costo, ma perché viene – poniamo – dalla Toscana,
perché ha certi valori qualitativi, perché viene da
una certa tradizione, perché è difeso da una
indicazione geografica, perché, rispetto alla realtà
biologica, ha la capacità di seguire certi standard. Questa
è la nostra capacità competitiva. Ora da questo punto
di vista non significa immaginare un’agricoltura fissa.
L’agricoltura può evolvere, può anche utilizzare
molta tecnologia: se noi ndiamo in una cantina di vini oggi, dove
si fanno i vini d’eccellenza, vediamo delle tecnologie
elevatissime, eccezionali. Ma qual è la differenza fra
queste e gli Ogm? E’ che quella tecnologia serve a migliorare e
perfezionare e a disvelare una tradizione, una identità, una
radice. Non a violentarla. Sono cose esattamente diverse. Per cui
sostanzialmente noi vogliamo un’innovazione dell’agricoltura, ma
un’innovazione che permetta di esprimere queste
potenzialità e queste radici, non di andarle a troncare e a
negare. Questo è il meccanismo.
A cura di
Stefano Carnazzi e
Paola Magni
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