Seneca. Giustizia, uguaglianza e amore

Le riflessioni di Seneca, filosofo stoico vissuto nella Roma imperiale del I secolo a.C.

Seneca, come tutti i classici, ha parole che valgono per il
“sempre” e che permettono, quindi, anche allo smarrito uomo d’oggi
di recuperare un autentico discorso di senso sul suo malcerto stare
al mondo.

Sulla giustizia, il Nostro ci
offre, in particolare, due riflessioni stupende, la prima delle
quali riguarda il richiamo della coscienza a riconoscere
l’uguaglianza di tutti gli uomini contro l’assurda concezione della
schiavitù naturale.
Leggiamo il passo: “Chi è
nobile
? Chi è stato ben disposto dalla natura
alla virtù. Bisogna badare soltanto a questo: per altro, se
ti richiami ai tempi antichi, tutti provengono da un momento prima
del quale non c’è a. Un succedersi alterno di splendori e di
miserie ci ha condotto dalla nascita del mondo fino alla nostra
epoca. Non ci rende nobili un atrio pieno di ritratti degli
antenati anneriti dal fumo; nessuno è vissuto per dar gloria
a noi, e ciò che precede non ci appartiene: l’animo rende
nobili, ad esso, in qualunque condizione sociale si trovi, è
possibile innalzarsi al di sopra della sorte”.

E ancora: “Bisogna cercare un bene che non si deteriori giorno dopo
giorno, che non conosca ostacoli. Qual è questo bene?
L’animo, ma l’animo retto, buono, grande. Con quale altro nome lo
potresti chiamare, se non un Dio che dimora nel corpo umano? Tale
animo può trovarsi tanto in un cavaliere romano quanto in un
liberto o in uno schiavo. Che cosa sono, infatti, un cavaliere
romano, un liberto o uno schiavo? Nomi nati dall’ambizione o
dall’ingiustizia. Balzare su fino al cielo è possibile da
ogni angolo: innalzati, e renditi anche tu degno di Dio”.

L’assimilazione al divino da parte di un’anima spiritualmente
temprata richiede, allora, la ricerca della dimensione comunitaria
e di quell’amore autentico che dovrebbe legare in modo
indissolubile gli uomini tra loro.

Leggiamo, a conferma di quanto stiamo dicendo, quest’altro passo,
uno dei più suggestivi della classicità:” Come ci si
deve comportare con gli uomini? Che cosa facciamo? Quali precetti
diamo? Di non versare sangue umano? È ben poco non fare del
male a colui al quale dovresti fare del bene! Certamente è
un gran merito che l’uomo sia mite verso un altro uomo. Insegniamo
a tendere la mano al naufrago, a indicare la strada a chi è
smarrito, a dividere il pane con chi ha fame? E perché
elencare tutte le azioni che si devono fare o non fare, mentre
posso dargli questa breve formula, che comprende tutti i doveri
dell’uomo? Tutto ciò che vedi, che racchiude il divino e
l’umano, è un tutt’uno: siamo le membra di un
immenso organismo
. La natura ci ha creato fratelli,
generandoci dagli stessi elementi e per gli stessi fini; ci ha
infuso un amore reciproco e ci ha fatto socievoli. […] Mettiamo
tutto in comune: siamo nati per una vita in comune. La nostra
società è molto simile a una volta di
pietre
: cadrebbe, se le pietre non si sostenessero
reciprocamente, ed è proprio questo che la sorregge”.

 

 

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