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Steve Killelea, imprenditore e filantropo australiano, fondatore del prestigioso Global Peace Index, afferma che solo attraverso un’economia della stabilità si potrà raggiungere la pace.
Un’economia di stabilità implica il profondo e radicale mutamento di rotta della politica, della scienza e della stessa economia che devono aprire le porte alla democrazia, alle libertà individuali, all’istruzione, all’assistenza sanitaria, alla sicurezza. In una parola, al benessere. Se viene a mancare questa condizione, si arriva inevitabilmente al conflitto e all’uso della forza. Secondo le ricerche del Global Peace Index (Indice Globale della Pace), fondazione privata e indipendente creata proprio per incoraggiare la pace internazionale, non si tratta di assicurare la prosperità universale, ma di garantire ai cittadini di ogni nazione un modello che si fonda su uno standard di efficienza sociale, di giustizia ed economica. Un modello che, per forza di cose, deve essere correlato a modalità di azione efficienti ed eque.
Va da sé che questo programma è a tutti gli effetti un progetto politico, che richiede un governo responsabile e all’altezza. Per questo, il Global Peace Index ha elaborato un sistema di valutazione che rappresenta uno dei primi tentativi di misurare i livelli di pace interni alle varie nazioni e, quindi, l’assenza di violenza come indicatore di pace.
Il gruppo di ricerca è guidato dall’Institute for Economics and Peace in collaborazione con l’Economist Intelligence Unit (la divisione di studi e ricerche della testata omonima) e il supporto di una lunga serie di accademici ed esperti nel campo della pace.
L’indice fornisce la struttura portante per la valutazione della qualità della vita di una nazione e viene attribuito in base al risultato di 22 indicatori. Ad esempio, il numero e la durata di conflitti interni e le eventuali vittime, l’impatto percepito del terrorismo, le spese militari in proporzione al pil. O ancora, la facilità di accesso alle armi da parte alla popolazione, la quantità di omicidi e crimini violenti ogni anno, la quantità di detenuti ogni 100mila abitanti.
Secondo l’edizione 2016 della classifica del Global Peace Index, l’Islanda risulta essere la nazione che riesce a garantire il massimo della stabilità e tranquillità ai propri cittadini. La seguono a ruota Danimarca, Austria, Nuova Zelanda, Portogallo. L’Italia è trentanovesima. Fanalini di coda, Afghanistan, Iraq, Sud Sudan e Siria.
Complessivamente nell’ultimo anno il mondo è diventato un posto meno sicuro, confermando il trend negativo dell’ultimo decennio. Oltre a essere più turbolento, è anche un Pianeta più diseguale: si allarga sempre di più il divario tra le regioni più pacifiche e quelle più problematiche. La zona più difficile è quella del Medio Oriente e dell’Africa.
Terrorismo e instabilità politica sono i fenomeni più preoccupanti. Rispetto all’anno scorso, il numero di vittime del terrorismo è aumentato addirittura dell’80 per cento. Solo 69 paesi, sui 163 esaminati nel rapporto, sono stati immuni da qualsiasi attacco terroristico; e sono ben 11 gli stati che hanno subito la perdita di più di cinquecento vite umane. 78 vittime del terrorismo su 100 arrivano da soli cinque paesi: Iraq, Nigeria, Afghanistan, Pakistan e Siria. Nel frattempo, l’instabilità politica coinvolge a macchia di leopardo una vasta gamma di territori, manifestandosi in modo più grave a Gibuti, Guinea-Bissau, Polonia, Burundi, Kazakistan e Brasile.
Nel frattempo, assume dimensioni sempre più preoccupanti il numero di rifugiati e profughi interni. Ormai in tutto sono circa 60 milioni, il doppio rispetto al 2007. In Somalia e Sud Sudan, sono profughi interni 20 persone su 100. In Siria, più di 60 su 100.
Ma, per fortuna, l’Indice di pace globale 2016 non è solo un elenco di cifre drammatiche. La comunità internazionale – si legge nello studio – è sempre più pronta a fornire supporto alle popolazioni in difficoltà e le missioni di pace dell’Onu possono contare su finanziamenti molto più alti rispetto a qualche anno fa. E, anche se purtroppo aumentano i conflitti interni, almeno calano quelli esterni.
Maurizio Torretti
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