
La psicologa Rosa Mininno “prescrive” romanzi e saggi ai suoi pazienti, nelle scuole e ai corsi di formazione. Ha successo perché, dice, guardare le cose da un punto di vista diverso funziona sempre.
Il limite della medicina occidentale contemporanea non risiede tanto nei metodi di cura quanto nel modello di riferimento, inadeguato a cogliere la complessità del corpo umano.
Il corpo umano è stato spesso paragonato ad una macchina,
dimenticando che in realtà molte macchine sono state ideate
e realizzate ispirandosi al funzionamento perfetto del nostro
organismo. Un filtro è come un fegato, il carburatore
è come uno stomaco, il computer è come un cervello e
non viceversa. Prima di tutto è necessario smitizzare questo
luogo comune che nel paragonarci a qualche cosa di incredibilmente
imperfetto e rudimentale come una macchina, rende decisamente poco
onore alla complessità e precisione di ciò che
siamo.
Eppure è proprio stato questo il modello meccanicistico su
cui è stata impostata tutta la medicina ufficiale, una
scienza ormai sempre più specialistica, sempre più
dipendente da esami e analisi, sempre più persa nei suoi
tentativi di intervenire sui sintomi in modo chimico e
meccanico.
I risultati odierni non sono proprio quelli che ci si aspettava
anche solo poche decine anni fa quando, nel pieno dell’entusiasmo
per le applicazioni nel campo della chimica farmaceutica delle
scoperte di Fleming e compagni, si pensava di poter controllare la
salute, grazie alla produzione dei medicinali su larga scala.
Ad essere sbagliata oggi forse non è tanto la medicina
quanto il modello a cui si rivolge: l'”uomo macchina”, ridotto ad
un aggregato di sistemi di organi.
I limiti di questo modello sono sempre più evidenti. In una
società sempre più tecnologizzata, con
apparecchiature sempre più specializzate, sostanze chimiche
sempre più elaborate e dall’azione mirata, la salute
continua a porre seri problemi. Quando si scopre come curare una
malattia, ne insorge un’altra.
Siamo finiti in un vicolo cieco, perché tanto più ci
specializziamo, credendo di diventare efficaci, tanto più
perdiamo di vista l’insieme dell’individuo che deve reagire alla
cura. Si va dal medico per farsi prescrivere analisi o medicine,
senza prendere il tempo per affrontare con lui in un colloquio
serio sui malesseri, che e non gli si parla col medico non si parla
più, non c’è tempo, oppure non c’è voglia, da
entrambe le parti, oppure non c’è più la
consapevolezza di quanto sia importante anche il contatto umano, di
quanti e quali altri fattori entrino in gioco nel processo di
perdita e recupero della salute.
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