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Alcune popolazioni mangiano con gusto proprio quello che altre popolazioni disdegnano. Quali scelte stanno alla base delle diverse culture alimentari nel mondo?
L’uomo è onnivoro, e come i maiali, i topi e molti altri
animali può mangiare e digerire sia cibi di origine vegetale
che cibi di origine animale. La quantità di prodotti
commestibili di cui può nutrirsi è praticamente
infinita. Perché allora la maggior parte degli esseri umani
consuma poche varietà di prodotti alimentari?
Il limite biologico spiega come l’uomo eviti gli alimenti meno
adatti alle sue caratteristiche fisiologiche. Ad esempio foglie,
fili d’erba e cortecce non vengono mangiate perché
l’intestino dell’uomo non è in grado di smaltire grandi
quantità di cellulosa, così come si assumono
più pasti nell’arco della giornata e non uno solo
sovrabbondante, per favorire la digestione.
Ma davanti alle svariate tradizioni alimentari del mondo, le
differenze biologiche non spiegano a sufficienza il perché
delle diverse abitudini alimentari. Quello che è buono e
appetibile per alcuni è disgustoso e detestabile per altri.
Insetti, cavallette e lombrichi sono cibi prelibati per milioni di
persone; ben quarantadue popolazioni mangiano ratti mentre altre
ancora evitano di bere latte e lo disprezzano perché secreto
dalle ghiandole di un animale, al pari della saliva.
Alla base delle abitudini alimentari dell’uomo ci sono anche
motivazioni di tipo pratico.
I cibi entrati nella tradizione gastronomica di un dato luogo,
infatti, sono generalmente i più validi dal punto di vista
ergonomico e nutrizionale. Le caratteristiche ambientali delle
diverse zone geografiche hanno influito sulle scelte produttive
alimentari dell’uomo; i cibi “selezionati” nelle diverse culture
sono anche quelli che si sono rivelati più semplici da
produrre e che hanno dimostrato di sfruttare al meglio le risorse
dell’ambiente in cui sono stati prodotti.
Ad esempio le popolazioni con ridotta densità demografica e
con un territorio poco adatto alla coltivazione hanno privilegiato
un’alimentazione a base di carne; al contrario, le popolazioni
numerose e con disponibilità di terre adatte alla
coltivazione hanno sviluppato un’alimentazione basata sul consumo
di vegetali, soprattutto se inserite in un habitat incapace di
sostenere i costi energetici dell’allevamento del bestiame.
Un esempio emblematico è quello del divieto di consumare
carne di maiale, proprio delle religioni ebraica e musulmana. I
maiali hanno bisogno di ombra e di acqua per rinfrescarsi,
perché non hanno ghiandole sudorifere e non possono quindi
regolare la temperatura corporea con la sudorazione; inoltre sono
tendenzialmente stanziali, cioè non sopportano bene i lunghi
spostamenti. Non stupisce quindi che il tabù sia nato tra
popolazioni originariamente nomadi, e in un ambiente arido e caldo
come quello del deserto.
Se poi si considera che la carne di maiale è una delle
più apprezzate dall’uomo, si comprende come il tabù
sia stato necessario per distogliere i membri della comunità
da una pratica alimentare che metteva in pericolo la vita stessa di
un gruppo le cui energie dovevano essere “dosate” e adattate alle
scarse risorse di un ambiente difficile.
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