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In una tazzina dell’amata bevanda ci sono tanti segreti, scoprirli permette un acquisto all’insegna della qualità m ano solo. Scopriamo il caffè equo solidale.
Ogni anno ne beviamo 13 miliardi di tazzine, corrispondenti a 37
chili di chicchi per famiglia. Stiamo parlando di sua maestà
il caffè, una bevanda a cui i più non riescono a
rinunciare. Le origini? Anche se la sua patria sembra essere la
zona meridionale dell’Abissinia, nota come Caffa, il nome deriva
quasi certamente dall’arabo qahwa “ciò che solleva in alto”.
E non c’è dubbio che il caffè sia uno stimolatore
dell’attività cerebrale: “se siete giù, bevete un
caffè”, suggerisce ammiccante una pubblicità.
Si dice, ed è vero, che i caffè non sono tutti
uguali. Infatti, le varietà sono 60, fra cui 4
commercializzate in tutto il mondo.
Arabica. Cresce sopra i 600 metri, è la più
pregiata e contiene poca caffeina (Arabia Saudita e Brasile). Nel
chicco (1,1-1,7% di caffeina)
Robusta. Chicchi piccoli e ricchi di caffeina (2-4,5%) e
sodio. Aroma meno elegante, quasi di tappo. Responsabile, pare, il
Tricloroanisolo (Tca) un componente che si origina dalle muffe, a
dimostrare che sono state utilizzate materie prime di
qualità scadente. Si trova in Congo, India e Indonesia.
Liberica. Frutti grossi e resistenti. Cresce in Liberia,
Costa D’Avorio e Madagascar.
Excelsa. Varietà fra le più giovani, inizio
secolo. E’ in costante crescita perché si adatta assai bene
anche ai terreni poco fertili e soggetti a siccità.
In genere, in una tazzina ne gustiamo almeno due varietà:
l’Arabica e la Robusta, “un matrimonio che non s’ha da fare” visto
che rischia di abbassare la qualità della bevanda. In
più, chi non sa rinunciare al rito della tazzina non sempre
sa cosa sorbisce. Ma, allora, come capire quale miscela c’è
nel barattolo di caffè che stiamo per acquistare o bere?
Purtroppo la legge non ci viene in aiuto. Le normative vigenti non
impongono ai produttori di riportare, se si tratta di miscele, in
etichetta la percentuale di Arabica e Robusta.
Le informazioni che per legge debbono comparire sull’etichetta
sono: denominazione (nome del prodotto e dell’azienda), peso netto,
scadenza, eventuale presenza di coloranti. Quale che sia la scelta,
se volete verificare la validità di una miscela ponete un
cucchiaio da caffè in una tazzina d’acqua e controllate
quanta polvere rimane sul fondo e quanta affiora. La ragione? E’
solo il caffè puro a galleggiare, mentre surrogati e altre
sostanze estranee si depositano.
Diffidate di indicazioni vaghe, quali “caffè Oro”, “miscela
bar” e altre denominazioni di fantasia: non hanno alcun significato
mereceologico. Poi, per scegliere a colpo sicuro, date la
preferenza ai produttori che evidenziano in modo chiaro la
varietà di caffè utilizzata. Nella grande
distribuzione si trovano ormai i biologici al 100% Arabica, e lo
stesso discorso vale per l’equo e solidale che paga prezzi
più corretti ai Paesi produttori e contrasta le
multinazionali che controllano il mercato del prodotto “verde”.
Queste, per realizzare maggiori profitti stanno obbligando i
produttori del Sud del mondo a coltivare varietà meno
pregiate di Arabica perché danno più resa e sono meno
esposte alle malattie.
Massimo Ilari
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