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Al Centro Riciclo di Vedelago non si butta via niente. Qui il rifiuto non più riciclabile, grazie ad un macchinario speciale, viene trasformato in materia prima seconda.
Il trevigiano è la zona del Veneto, se non d’Italia, dove la
raccolta differenziata funziona e bene. In certi comuni, i dati
parlano di un 70% di raccolta, ma c’è chi punta al 90% e
oltre. E a Vedelago esiste un centro di raccolta definito ‘a
rifiuti zero’.
Qui arrivano decine e decine di autoarticolati, ogni giorno. Ci
accoglie la titolare del centro, Carla Poli, madre di Alessandro
Mardegan, l’ideatore del macchinario che trasforma il rifiuto non
più riciclabile in materia prima seconda.
La raccolta
La prima parte dell’impianto tratta
la frazione secca riciclabile proveniente dalla raccolta
differenziata dei comuni limitrofi (ma arriva pure da Belluno e da
Imola). Il bacino di utenza serve più di un milione di
abitanti. Qui viene effettuata una prima divisione del rifiuto:
carta, vetro, metallo e le varie tipologie di plastica.
Molti sono gli oggetti merceologici composti da polimeri diversi,
spesso inutilizzzabili da parte di chi raccoglie o li tratta. Dopo
la prima cernita, che toglie pezzi di ferro, scarpe, vestiti di
ogni genere (sì, la gente ce li infila pure nella plastica),
vengono raccolti i vari imballaggi.
In questo punto dell’impianto avviene una suddivisione definita da
Mardegan ‘di alta qualità’, perché fatta tutta a mano
dai dipendenti del centro, la maggior parte immigrati. Di
qualità perché, più il prodotto è
omogeneo, cioè dello stesso polimero, più diventa
valorizzabile. Ad esempio, il PET in commercio, lo si trova di tre
tipi diversi: trasparente, leggermente colorato, molto leggero.
Alla fine di quella che pare una catena di montaggio di una
qualsiasi fabbrica, esce una quantità enorme di plastica di
tutti i tipi, dai sottovasi ai giocattoli, dal polistirolo a
frammenti ormai irriconoscibili. E questa montagna, che fine fa?
Alessandro sottolinea che, di tutto il raccolto, questo risulta
essere il 25/30% del totale in volume, che come consuetudine,
diviene C.D.R. (carburante da rifiuto). In pratica viene bruciato
negli inceneritori o finisce nelle discariche.
L’idea
Perché non trovare il modo di
trasformare ciò che viene definito (dalla legge) come
rifiuto secco non riciclabile, in materia prima seconda? E
come?
Per capire meglio ci si deve spostare nella seconda parte dello
stabilimento, dove la matrice secca viene tritata meccanicamente,
per essere trasformata alla fine del ciclo in sabbia sintetica.
L’idea di Alessandro parte dalla modifica di un macchinario
già in commercio – sembra un ‘tritacarne gigante’. Tramite
la semplice forza meccanico-fisica (processo definito di
estrusione), i granuli di plastica vengono prima compressi e alla
fine, grazie agli attriti all’interno del ‘tritacarne’, vengono
fusi, dando vita ad un nuovo materiale. Tutto senza alcun tipo di
combustione o di utilizzo di combustibile.
Niente emissioni quindi. Ma dall’interno della macchina si vede
uscire del fumo: “È semplice vapore acqueo – assicura
Martegan – l’ultima frazione umida residua presente nella
plastica”.
Il prodotto finale
Una sabbia sintetica eterogenea, di varie dimensioni
granulometriche, che troverà utilizzo per i prodotti
più disparati. Si và dall’edilizia ai vari stampati
in plastica. Panchine, sedie, dissuasori di velocità, vasi
per le piante, cestini per i rifiuti e altro ancora.
Uscendo, Alessandro mostra orgoglioso il giardino che spesso ospita
le varie scolaresche che vengono a visitare il Centro: l’unico
materiale utilizzato è la sabbia sintetica da loro prodotta,
letteralmente il rifiuto che torna a nuova vita.
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