
I delegati alla prima conferenza sul clima del continente cercano di trovare un modello africano di adattamento ai cambiamenti climatici, tra investimenti esteri e la possibilità di decolonizzare il settore energetico africano.
Dopo otto giorni di trattative serrate, questo mese di luglio,
Nel 1997, anno della nascità del protocollo, i paesi
industrializzati avevano deciso di ridurre le emissioni di gas
serra del 5,2% rispetto ai livelli dell’anno 1990, e questo entro
il 2008/2012. Ma a Bonn questo traguardo è stato stravolto
completamente e l’accordo raggiunto alla fine si limita a una
riduzione dei gas serra del 1,8%. Questa percentuale suona ancora
più misera se si considera che, per raggiungere una
situazione climatica equilibrata, gli scienziati ritengono
necessario un taglio del 60% delle emissioni globali. Comunque
l’accordo trovato entrerà in vigore già nel 2002.
Giappone, Canada e Australia sono i tre paesi maggiormente
responsabili dell’indebolimento dell’accordo. “L’OPEC, l’industria
del petrolio e le sue associate e gli Stati Uniti hanno combattuto
più violentemente il Protocollo”, ha dichiarato Bill Hare,
direttore politico della campagna clima per Greenpeace. “Questa
volta il loro tentativo di fare fuori il Protocollo di Kyoto
è fallito, ma ci è mancato poco che ci riuscissero a
centrare il loro obiettivo.” In queste circostanze, i promotori del
Protocollo e le varie associazioni ambientaliste ritengono che sia
meglio il compromesso debole raggiunto che un fiasco totale.
Comunque l’accordo è riuscito unicamente perché le
foreste, i cosiddetti “pozzi di assorbimento del carbonio”,
conteranno molto, più di quanto non era programmato, nel
calcolare la quantità dei gas serra emessi nell’atmosfera:
il carbonio che viene assorbito dagli alberi può essere
detratto dalla quantità di gas emessi e quindi essere
inserito nel bilancio ambientale. Ed è più facile
raggiungere gli obiettivi del Protocollo piantando degli alberi che
finanziare e sviluppare fonti di energie alternative. Oltretutto si
possono anche contare gli alberi piantati fuori dai confini della
proporia nazione.
Per paesi come Canada e Australia questa opportunità era
determinante per la decisione di apporre la loro firma. E a pochi
giorni dall’accordo l’Australia ha fatto sapere del suo intento di
piantare nel Vietnam 8.250 ettari di foresta nell’arco di cinque
anni. Con questo i problemi futuri sono già programmati
perché gli alberi che verranno piantati, l’Acacia
crassicarpa e l’Eucalyptus tereticornis, saranno però delle
piante geneticamente modificate.
Per riuscire ad avere l’ok del Giappone invece non si sono potute
definire le modalità di controllo e le sanzioni da emettere
per gli indampienti. Questi punti verrano trattati in un incontro
in autunno a Marrakesh.
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