In ricordo di Bartolo Mascarello, coscienza critica del Barolo

Non si ripeterà più il rito, caro a tutti gli appassionati del Barolo, di ogni sensibilità e orientamento, a scrittori, intellettuali, personalità della politica e della cultura, di suonare al campanello di via Roma 15 a Barolo per essere ricevuti, anche solo per un saluto e per una breve conversazione, davanti ad un bicchiere, dal

Non si ripeterà più il rito, caro a tutti gli
appassionati del Barolo, di ogni sensibilità e orientamento,
a scrittori, intellettuali, personalità della politica e
della cultura, di suonare al campanello di via Roma 15 a Barolo per
essere ricevuti, anche solo per un saluto e per una breve
conversazione, davanti ad un bicchiere, dal grande vecchio e dalla
coscienza del Barolo.

Il grande cuore di Bartolo Mascarello, 78 anni, una delle
più alte figure del panorama del re dei vini di Langa, il
simbolo, il tenace difensore della migliore tradizione, (?l?ultimo
dei mohicani? come amava farsi chiamare), il grande testimone di
una storia e di un?identità del re dei vini italiani che
vengono da lontano, sabato 12 marzo si è fermato. Ora
Bartolo, che negli ultimi anni, impossibilitato da una malattia a
percorrere le amate vigne e ad occuparsi di tutte le numerose
incombenze che competono ad un vignaiolo, si era inventato
?artista?, e di talento, disegnando e colorando, per la gioia dei
collezionisti le fantasiose etichette del suo grande vino coniando
slogan che hanno fatto discutere, riposa nel piccolo cimitero di
Barolo, posto proprio di fronte alla collina dei Cannubi, uno dei
vigneti che maggiormente hanno fatto la leggenda del Barolo.

Mascarello era entrato in cantina nei primi anni Sessanta,
affiancando il padre, Giulio, (nominato primo Sindaco di Barolo
subito dopo la Liberazione) che nel 1918, reduce dalla dura
esperienza della Guerra, si era messo in proprio, diventando
produttore di vini. Cresciuta passo dopo passo, affiancando alla
normale vendita ai privati del vino in damigiane, una piccola
produzione in bottiglia, e acquisendo piccoli appezzamenti di vigna
in alcune delle migliori posizioni di Barolo, nei Cannubi, a San
Lorenzo e Rué, e poi, più tardi, nelle Rocche di La
Morra, la cantina si era conquistata progressivamente una propria
autorevolezza e un indubbio prestigio. Diventando, agli occhi degli
appassionati, disorientati dai cambiamenti e delle innovazioni,
spesso traumatiche, introdotte nel mondo del Barolo negli anni
Ottanta, un punto di riferimento, una certezza, in grado di
proporre Barolo in grado di evolvere armoniosamente nel tempo.

Proprio come qualche giorno fa, chi scrive, aveva avuto la
fortuna di verificare, partecipando ad una degustazione verticale
di dieci annate, in magnum, del Barolo di Bartolo, e restando, come
tutti gli altri partecipanti, colpito dalla grandezza, dalla
freschezza e dalla vivacità del 1982, del 1985, del 1989 e
persino di un sorprendente 1967.
Come non potrà mai dimenticare il grato stupore di un gruppo
di appassionati borgognoni, condotti in visita in cantina da
Mascarello, lo scorso ottobre, conquistati da un 1989, e la
fantasmagoria, come definirla diversamente, e la classe infinita di
un magnum di 1964, sfoderato da Bartolo, alcuni anni fa, in
occasione di una tavola rotonda da me organizzata, che vide per ore
discutere appassionatamente di Barolo un parterre de roi formato da
Aldo e Giovanni Conterno (scomparso lo scorso anno), Teobaldo
Cappellano, Beppe Rinaldi, e Mauro Mascarello. E naturalmente,
padrone di casa e nostro ospite, da Bartolo.

Con la scomparsa di Mascarello, (il cui lavoro verrà
proseguito dalla figlia Maria Teresa, che già lo affiancava
da tempo), vinificatore straordinario, e lucidamente fedele alla
tradizione (l?antica tecnica tutta barolesca di assemblare le varie
uve provenienti dai diversi vigneti, per assicurare un maggiore
equilibrio e una superiore armonia al suo vino), ma anche e
soprattutto uomo di cultura, arguto polemista, strenuo difensore
della Langa e del suo ambiente, talora sconciati da insediamenti
spregiudicati e non rispettosi del paesaggio, il Barolo, ed il
mondo del vino italiano perdono un esempio straordinario di
coraggio, di dignità, di libertà. Un uomo intimamente
libero, in grado di sfidare le facili ironie di chi spacciandolo
per ?retrogrado? criticava la sua scelta di mantenere, per il
Barolo – ?frutto della saggezza e dell?esperienza di chi ci ha
preceduto?, amava dire – vinificazioni con lunghe macerazioni e
paziente affinamento non in barrique (strumento di cantina di cui
Bartolo è sempre stato nemico dichiarato, a tal punto da
proclamarlo, apertis verbis, su varie etichette), bensì in
grandi botti di rovere. Secondo un?idea di tradizione, non
mummificata, ma sempre aperta al nuovo, senza tagliare le radici
con il passato da cui tutti veniamo. Cantore della Langhe e della
dignità del lavoro in vigna, Bartolo lascia un vuoto
incolmabile e un ricordo indelebile in tutti noi che in questi anni
abbiamo avuto la fortuna di conoscerlo, di essergli amici e di
volergli bene, come ad un maestro.

Franco Ziliani
www.winereport.com

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