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L’appuntamento internazionale del Salone del Mobile che si tiene in quesi giorni a Milano offre lo spunto per alcune riflessioni. Soprattutto sul futuro del design italiano.
Vico Magistretti in occasione della conferenza “BeLight” sostiene
la fine ormai imminente dell’Italian design”. Il dubbio è:
credergli oppure no?
L’Italian design, come molti sapranno, iniziò circa 40 anni
fa dall’incontro tra alcuni designer milanesi, tra cui lo stesso
Magistretti, e la produzione ovvero l’industria. Fu soprattutto
l’industria dell’illuminazione del dopo guerra a far partire il
“design made in Italy” perché proprio le lampade furono i
primi oggetti ad essere disegnati. Successivamente si
consacrò definitivamente sviluppandosi in tutti i settori
dell’arredamento e del complemento.
Ma perché secondo Magistretti il “marchio” italiano è
destinato a finire? Forse per mancanza di idee o per mancanza di
capacità di rinnovarsi e di stringere ulteriori legami con
l’industria?
Cerchiamo di capire il perché partendo proprio dall’oggi,
ovvero dai giovani designer. Basta fare un giro al Salone
Satellite, dove espongono, per capire che non c’è a di
nuovo. Anzi, purtroppo non c’è a di migliorato rispetto
all’esistente. Attraverso gli stessi processi mentali che
contraddistinguono l’arte pittorica più approssimativa, si
cerca di dare giustificazioni a delle forme astratte, semplicemente
copiando e reinterpretando ciò che già esiste.
Ma se questa è la tendenza dei giovani, cosa fanno le grandi
aziende italiane?
La maggior parte rimane legata ai propri stili. Solo alcune osano
di più. Queste auspicano attraverso i loro oggetti un
ritorno agli anni’70, alle forme circolari e ai colori un po’ acidi
del pop. La scelta probabilmente è dettata dal fatto che in
mancanza del nuovo può essere utile ritornare a percorrere e
a sviluppare strade vecchie.
Diversamente dalle aziende legate all’arredamento quelle che hanno
il maggior sviluppo sono legate all’illuminotecnica. Dopo una stasi
durata alcuni anni esse stanni ritornando alla progettazione
integrata tra luci e ambiente, sia a livello domestico che a
livello urbano, lasciando intravedere quella che potrebbe essere
una delle nuove strade per il futuro. Lo sviluppo delle interazioni
tra uomo e ambiente (urbano o domestico che sia).
Un ultimo accenno al binomio moda e design. Iniziato l’anno scorso
prosegue anche quest’anno. Il limite è che la potente
industria della moda non è per il momento creativa, ma si
limita a utilizzare il design come decoro. Chissà forse in
futuro sarà proprio questa l’industria che permetterà
ancora lo stretto connubio tra i disegnatori e la produzione che
Magistretti vede assottigliarsi sempre di più.
Una cosa è sicura: nella maggior parte dei casi manca la
chiarezza concettuale, che era veramente il carattere principale
espresso dall’italian design. Ed è proprio questa la lacuna
che si avverte oggi. Il concetto dell’oggetto creato dal designer
deve essere facilmente trasmissibile, per esempio al telefono.
Progettare sempre in stretto contatto con l’industria permetteva di
giungere a un’estrema sintesi di chiarezza e semplicità, che
riporta al vero valore dell’oggetto, dove niente, a differenza di
oggi, era legato alla decorazione.
Tomaso Scotti
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