Lobsang Sangay, tra Tibet, pace e Twitter

“Immagino il Tibet come una terra bellissima, popolata da persone che credono nella pace. In questa regione hanno origine dieci dei maggiori fiumi della zona”.


L’anno scorso il Dalai Lama ha rinunciato al potere politico e lei
ha assunto le sue responsabilità politiche. Qual è il
suo rapporto con lui?

Dopo che Sua Santità il Dalai Lama ha trasferito il suo
potere politico, abbiamo separato le responsabilità
spirituali da quelle politiche. Ora sono il leader del popolo
tibetano, il Kalon Tripa, e la mia responsabilità si
concentra sugli aspetti politici, cioè ristabilire la pace e
permettere il ritorno del Dalai Lama in patria. Sono un laico, non
sono un Lama reincarnato, e come laico credo che la mia
responsabilità sia di portare a compimento la visione di Sua
Santità e instaurare una società democratica, per far
sì che il popolo tibetano stia in piedi autonomamente.

 

Lei è stato eletto democraticamente dalla
comunità tibetana in esilio. Come ha protetto questo
processo da ingerenze esterne?

I tibetani hanno partecipato e votato in più di 40
paesi e i candidati si sono sfidati in elezioni democratiche, al
termine delle quali io ho ottenuto il mandato. Il governo cinese
usa diverse etichette per biasimare e minare la nostra
amministrazione, ma le elezioni sono state davvero democratiche e i
tibetani in tutto il mondo hanno partecipato con entusiasmo. Sono
state elezioni libere e trasparenti, contrariamente al sistema
cinese dove non ci sono elezioni democratiche – soprattutto nelle
aree tibetane dove non è il popolo a scegliere il leader, ma
gli viene imposto da Pechino. Il mio governo è legittimo,
rappresentativo del pensiero del popolo, di cui sono portavoce.
Centinaia di persone sono venute in India dal Tibet e attraverso la
reazione emotiva e il legame stabilito, il senso di
solidarietà e di unità tra di noi, mi hanno dato il
loro appoggio con entusiasmo. Sono convinto che anche il popolo
all’interno del Tibet sostenga il leader in esilio eletto
democraticamente.

 

Un grande successo, insomma…

Sì, certo! I tibetani fuori e dentro il Tibet hanno
dimostrato di essere uniti e che lo spirito tibetano è molto
forte, nonostante più di 50 anni di occupazione
cinese.

 

Quali sono le sfide maggiori che
affronterà?

Le sfide sono molte, perché il mio è un compito
difficile. Da una parte c’è il governo cinese sempre
più presente, dall’altra la situazione è ogni giorno
più dura. Le persone si aspettano che io mi concentri su
questi problemi; anche la comunità internazionale ha
rilasciato dichiarazioni di sostegno che abbiamo gradito e
apprezzato. Ma vorremmo anche vedere azioni concrete: per questo
quotidianamente chiedo alla comunità internazionale di
inviare delegazioni nelle aree tibetane che verifichino la
realtà dei fatti.

 

Le proteste dei tibetani spesso coinvolgono giovani e
giovani monaci; è di pochi giorni fa la notizia di un monaco
diciottenne che si è dato fuoco. Cosa farà per
affrontare questi casi?

Quello che sta accadendo è davvero tragico, finora 24
tibetani si sono immolati, 11 solo quest’anno, incluso il monaco
diciottenne di cui lei parla. Questi sono tristi casi di protesta
contro la continua occupazione da parte della Repubblica Popolare
Cinese e contro la sua politica repressiva: le azioni violente di
Pechino stanno costringendo i tibetani a fare ricorso a queste
azioni, il che è davvero triste. Il governo di Pechino
dovrebbe capire che la violenza non è un buon metodo per
risolvere la questione, invece è sempre più
repressivo e ordina di sparare persino ai dimostranti pacifici.
Dobbiamo trovare la soluzione con mezzi pacifici: attraverso il
dialogo. Sfortunatamente sinora non abbiamo avuto risposte positive
da Pechino.

 

Pensa che sarà davvero
possibile?

Dal 2002 a gennaio 2010 i nostri inviati sono stati a Pechino
dieci volte: c’è stato dialogo, ma non comprensione
né passi avanti. Noi vogliamo proseguire sulla strada del
dialogo perché vogliamo risolvere la questione pacificamente
e l’unico modo per farlo è attraverso il confronto a viso
aperto, non attraverso armi e violenza, che il governo cinese
sfortunatamente continua a usare contro il nostro popolo.

 

Mi viene in mente la Primavera araba, dove i social
network, per esempio Twitter, hanno avuto un ruolo importante nel
creare una vera rete di azioni concrete. Secondo lei Internet
potrà avere lo stesso potere tra i giovani
tibetani?

Avrà lo stesso potere: il nostro governo usa Internet e
il web per raggiungere il maggior numero di persone nel mondo.
Stiamo facendo del nostro meglio, ma all’interno del Tibet è
difficile perché c’è la censura, le e-mail e gli
accessi alla rete sono monitorati. Ma credo che i social network
siano davvero importanti e che dobbiamo usarli.

 

Lei ha un suo account Twitter, vero?

Certo! È aggiornato ogni tanto da me, ogni tanto dal
mio staff, si chiama@Drlobsangsangay.
Twitter e Facebook sono molto importanti per raggiungere il maggior
numero di sostenitori nel mondo.

 

E forse è importante anche per il
dialogo…

Sì, si possono raggiungere molti cinesi attraverso
Twitter e Facebook. Ho parlato così a centinaia di studenti
cinesi e ricercatori quando ero all’Università di Harvard,
negli ultimi 16 anni. Ho avuto modo di conoscerli e di capire la
loro mentalità.

 

A questo proposito, quando era ad Harvard ha
organizzato conferenze per incontrare gli studenti
cinesi…

Ho sempre creduto nel dialogo, nell’importanza di parlare alle
“altre parti”. Per questo ho organizzato iniziative in cui
all’inizio parlavo individualmente agli studenti cinesi e ai
ricercatori, poi sono diventate conferenze tra cinesi e tibetani.
Attraverso questi incontri a cui erano invitati gli studenti
migliori dalla Cina abbiamo delineato un quadro chiaro della
situazione: molti di loro erano comprensivi, imparziali, liberali,
mentre altri erano piuttosto ignoranti, nazionalisti e arroganti a
causa della propaganda dei media cinesi.

Lei è nato in India, ha frequentato una scuola
per rifugiati tibetani prima di studiare all’Università di
Delhi, ma non è mai stato in Tibet. Come immagina il Suo
paese?

Lo immagino come una terra bellissima, popolata da persone che
credono nella pace. In questa regione hanno origine dieci dei
maggiori fiumi della zona. Il fiume Indo scorre fino al Pakistan e
all’India; il Brahmaputra fino all’India e al Bangladesh; il
Mê Kông e il fiume Giallo scorrono verso la Cina.
Inoltre, in Tibet c’è la terza più grande riserva di
ghiaccio al mondo, per questo è chiamato il Terzo Polo, dopo
l’Artico e l’Antartico. Si dice che le guerre prima si combattevano
per la terra, ora per l’energia e presto per l’acqua e da noi ce
n’è in abbondanza: è chiamata “oro bianco”,
perché è preziosissima. Poi, le correnti atmosferiche
della regione sono molto importanti per il clima globale
perché arrivano a influnzare i venti in Perù e in
Sudamerica. Dobbiamo assumere il ruolo di custodi dell’ambiente e
del nostro altopiano, rispettare i fiumi che condividiamo con tutti
gli altri. Aziende e funzionari cinesi stanno costruendo ovunque da
dieci a venti dighe per produrre energia: questo si
ripercuoterà sul corso naturale dei fiumi e sul
sostentamento delle persone a valle, che vivono di agricoltura e
pesca. È importante che tutti vengano a conoscenza del
fragile ecosistema del Tibet e dell’altopiano tibetano
perché è fondamentale per il resto del Pianeta.

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