
A 2 anni dal crollo del ponte Morandi, il quartiere Certosa di Genova rinasce grazie alla street art
Si chiama On the wall il progetto di arte pubblica che ha invaso di colore i muri del quartiere vittima del disastro del 14 agosto 2018 a Genova.
Intervista esclusiva all’architetto Mario Cucinella, che ci racconta la sua visione di smart city e green city.
Oggi si sente parlare spesso di città
verdi…
La città è probabilmente una delle più grandi
invenzioni dell’uomo. Viene da molto lontano e si è
sviluppata nel periodo della rivoluzione industriale, ed è
cresciuta sempre più, fino ad arrivare ai tempi della
speculazione. Oggi, arrivati alla saturazione dei bisogni, dobbiamo
entrare in una nuova logica. Dobbiamo entrare in una nuova
logica.
Cioè?
Dobbiamo prenderci cura della città. Dobbiamo iniziare a
pensare che oltre al luogo in cui viviamo, reputato allo scambio
culturale e con grandi opportunità, deve diventare anche un
luogo dove poter vivere meglio. Ci stiamo lasciando alle spalle
un’era industriale per entrare nell’era ecologica-ambientale.
Percepisce anche lei questa sorta di cambiamento che
c’è nell’aria?
Il cambiamento è un’onda che è già partita da
qualche decennio, anche se il nostro Paese è un po’
distratto da mille altre vicende. Sta crescendo la coscienza
pubblica, sui temi dell’ambiente, come sui temi alimentari. La
direzione è quella di prenderci cura delle nostre
città, trasformando questi luoghi straordinari di cultura e
storia in luoghi ideali dove vivere.
Sembra esserci una grande volontà in questo senso,
penso ad esempio al progetto dei Raggi Verdi a Milano (zone di
verde pubblico che collegherà il centro città alle
cerchia più esterne)?
Porsi degli obiettivi è forse la parte più semplice
del processo. Dobbiamo essere consapevoli che ci vorrà del
tempo. Il cambiamento non è solo quello climatico, ma anche
quello culturale. Il problema è che di ambiente non si
può solo parlare, ma per l’ambiente bisogna fare.
Come vede l’architetto Cucinella le città del
futuro?
Contrariamente a quello che si può pensare, come avevamo
immaginato trent’anni fa o all’inizio del Novecento, la
città non sarà fatta di astronavi, macchine volanti,
con edifici di acciaio e vetro. La città del futuro è
quella che abbiamo, non ne avremo un’altra. Una città senza
rumore, dove non c’è più cattivo odore, una
città che sarà il luogo ideale dove socializzare. Uno
dei grandi temi dell’ambiente è anche quello di salvare
l’integrità dell’uomo. La città che verrà
sarà fatta di sottrazioni. Toglierei le auto, gli edifici
che consumano troppo, cominciando a sostituire gli stradoni con dei
parchi, sostituendo i bus a gasolio con piccole auto elettriche. In
pratica un cambiamento che renda la città veramente
pubblica. Questa è l’unica direzione possibile.
Quali sono le città che stanno andando in questa
direzione?
Per assurdo è proprio New York. Una città moderna,
caratterizzata da una foresta di grattacieli, di automobili ed
inquinamento, sta oggi cambiando pelle. Parlo dell’operazione a
Times Square, ad esempio, chiusa al traffico. Ci si muove in
metropolitana e la superficie è dedicata alla vita degli
uomini. Questo mi sembra un segnale fortissimo, in quanto è
stata intrapresa una strada per migliorare la vita dei
cittadini.
Ed in Europa?
Copenaghen mi ha colpito molto. Al di là del fatto che tanti
vanno in bici, che gli autobus sono puntuali, ciò che
più mi ha colpito è stata la possibilità di
vivere la città a piedi o in bici. E l’aspetto ecologico va
quasi in secondo piano, perché subentra quello sociale,
delle relazioni interpersonali. Alla fine le persone andando in
bicicletta parlano, si appropriano visivamente della città e
non essere estranei ai luoghi dove vivi ti fà appartenere a
quel posto, te lo fa conoscere. E questo è un radicamento
fondamentale.
E la tecnologia?
La dobbiamo far diventare un
po’ più invisibile. È importante, amica, ma non deve
diventare muscolare. È qualcosa che c’aiuta, ma non la
protagonista. Finora il nostro è stato un rapporto poco
maturo, in realtà la tecnologia va dominata, controllata. La
tecnologia è utile quando serve.
Quindi è veramente il momento di fare delle
città a misura d’uomo?
La riflessione da fare è che prima che arrivasse la
rivoluzione industriale erano già così. Noi stiamo
parlando di un periodo storico che ha poco più di duecento
anni, mentre le città hanno più di duemila anni. In
fondo si tratta di ritrovare questa vivibilità, aiutandonci
con la tecnologia, perché sono proprio nate così.
Forse le abbiamo chiesto troppo finora. E quindi occupiamoci un po’
di lei, dedicandogli del tempo, rimettiamoci le mani sopra.
È chiaro che ci vorrà del tempo, ma come dicono i
Cinesi: “Anche il più grande viaggio inizia con un passo”.
Ecco iniziamo a farlo questo passo.
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