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L’americana media le due anime, quella di countrygirl degli esordi e quella di corner. C’è tutto nell’album “Sing It Loud”.
Accanto al suo nome, per la prima volta dai tempi dei Recliners,
k.d. Lang affianca quello della Siss Boom Band, formazione guidata
da Joe Pisapia. Un band album, Sing It Loud, sottolineato dalla lang come il
ritorno a un modello collettivo di fare musica, rimarcato dalle
corresponsabilità di scrittura di alcuni componenti.
E la curiosità, allora, è provare a capire quale sia
oggi la dimensione della camaleontica artista canadese, che nel
tempo ha vestito i panni di Pasty Cline e incrociato il microfono
con Tony Bennett con la stessa ambigua eleganza. Tutto, dalle voci
strumentali ricche di plettri anche rurali, agli studi di
Nashville, sembra suggerire un ritorno alla country music.
E in effetti Sing It Loud scorre, con prevalenza di tempi
rallentati, attraverso significanti che rimandano a quel simbolismo
sonoro country che la lang assunse, sin dagli esordi, solo per
trasfigurarlo in un gioco obliquo e seducente. Come l’apertura di I
Confess, dalla sontuosa ampiezza melodica sublimata dal drammatico
bolero finale, dove la lang indossa nuovamente gli abiti di Roy
Orbison. Ma c’è dell’altro.
Il sofisticato crooning pop dai riflessi brasiliani della title
track, la nervosa tensione elettrica di Sugar Buzz dissolta
nell’ampiezza melodica, la straniante cornice strumentale di Sorrow
Nevermore, e le reinvenzioni di due canzoni tra loro agli opposti,
Heaven (Talking Heads) e Reminiscing (Little River Band), entrambe
concentrate sul limpido phrasing della lang che rimane, a conti
fatti, il vero punto focale dell’album.
Mauro Eufrosini
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