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L’impronta ecologica è un indice di quanta terra consumiamo. Secondo certi studi l’impronta ecologica pro capite ha un’estensione massima di 1,7 ettari.
Due studiosi, Mathis Wackernagel e William E. Rees, figurano tra coloro i quali hanno dato il maggior impulso al concetto di impronta ecologica.
Lo sviluppo sostenibile si basa sul concetto che le risorse della terra sono limitate e che non è possibile potervi accedere in maniera indiscriminata, ma è necessario rispettare la capacità dell’ambiente di rigenerarsi. Partendo da questo presupposto sia il consumo di energia e di materia, sia lo smaltimento dei rifiuti prodotti hanno bisogno della capacità produttiva o di assorbimento di una determinata superficie di terra o di acqua. Questa superficie è ciò che si definisce come impronta ecologica.
Secondo recenti studi, ogni abitante della Terra ha a disposizione solo 1,7 ettari di Terra da cui trarre il proprio sostentamento e su cui riversare i propri rifiuti. Questo calcolo è stato fatto come segue: ognuno di noi, su scala mondiale, ha a disposizione 0,25 ettari di terreno agricolo, 0,6 di pascolo, 0,6 di foreste e 0,03 ettari di aree edificate. Sommando queste porzioni di territori si ottiene un totale di 1,5 ettari pro capite, che arriva a due ettari se si includono anche le aree marine.
Tuttavia, a questi due ettari pro capite di impronta ecologica, si deve sottrarre il territorio dedicato a garanzia degli ecosistemi che, secondo la Commissione Mondiale per l’ambiente e lo sviluppo, corrisponde ad almeno il 12% della capacità ecologica di tutti gli ecosistemi.
L’uomo può quindi avere al massimo un’impronta ecologica di soli 1,7 ettari pro capite, valore che diventa così il riferimento per mettere a confronto le impronte ecologiche delle diverse popolazioni. Questo calcolo, impostato su una persona o su un gruppo di persone (ad esempio una regione o una nazione) ci dice quanti ettari di territorio sono necessari per mantenere un determinato livello di consumi.
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