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La natura fa bene a corpo e anima
Un medico americano sta traducendo i principi dell’ecopsicologia, raccogliendo dati che confermano la vicinanza dell’ambiente naturale alla ‘anima
Stress, ansia, mal di testa? Lasciamo stare le pillole, molto
meglio una passeggiata nei boschi, o quanto meno in un bel
giardino che rasserena l’anima. Sembrerebbe una banalità, se ad affermarlo non
fosse un’autorità in materia come Howard Frumkin, docente di
Salute ambientale all’Università di Atlanta. Che un paio di
anni fa ha messo a rumore l’ambiente scientifico con un articolo in
cui denunciava l’atteggiamento della ricerca nei confronti della
natura.
“Troppo spesso gli studiosi si concentrano sui rischi derivati
dall’inquinamento, da sostanze tossiche e dalle epidemie”, spiega
il ricercatore, “Problemi reali, urgenti, ma non dobbiamo
dimenticare che la natura può anche far bene. Non solo per
la quantità di principi attivi che ci vengono da piante e
animali – che sarebbe già un motivo sufficiente per
spingerci a preservare la biodiversità – ma proprio
attraverso il contatto con l’ambiente naturale, nel senso
più ampio del termine”.
Partendo da un’esperienza personale – ” a contatto con la natura
sono sempre stato bene, e penso di non essere il solo” – Frumkin
lega la sua teoria al concetto di “biofilia”, un neologismo coniato
dal sociobiologo Edward Wilson per definire il rapporto emotivo che
lega da sempre gli esseri umani alle altre forme di vita: “I nostri
antenati hanno vissuto per milioni di anni mantenendo uno stretto
contatto con la natura che li circondava, e rispettandone i ritmi”,
spiega. “Non è pensabile che poche migliaia di anni – in
termini evolutivi, un periodo di tempo brevissimo – siano bastati a
fare piazza pulita di un’esperienza tanto radicata”.
E oggi le scoperte a conferma della sua tesi si moltiplicano:
“avere un animale in casa fa bene”, puntualizza Frumkin: “uno
studio americano su pazienti infartuati dimostra che chi possiede
un cane ha una probabilità di sopravvivenza a un anno
dall’infarto sei volte maggiore rispetto ad altri soggetti nelle
stesse condizioni. Ma è stato anche dimostrato che i
ricoverati in ospedale guariscono prima se la loro finestra guarda
su un giardino e in uno spazio verde”. Negli Stati Uniti il
contatto con la natura è già utilizzato come
strumento terapeutico in casi di disagio mentale: “Un’indagine
realizzata su 700 pazienti di un ospedale psichiatrico dell’Oregon
coinvolti in un’esperienza di vita all’aria aperta ha dimostrato
che il 90 per cento dei partecipanti affermava di avere tratto
vantaggi concreti dal contatto con la natura e di essere riuscito a
superare problemi di dipendenza da varie sostanze”.
Un’esperienza che si potrebbe allargare: “Architetti e urbanisti
potrebbero tenere conto di queste scoperte quando progettano nuovi
quartieri o spazi abitativi”, spiega Frumkin, “ma prima di tutto
dobbiamo continuare a studiare, per capire quale tipo di contatto
con la natura offra maggiori vantaggi, e quali siano i soggetti che
possono trarne maggiori benefici”. Ma anche cercare di “far
passare” un messaggio di questo tipo all’interno della
comunità scientifica. Un’impresa tutt’altro che semplice:
“Molti scienziati hanno un approccio troppo riduzionista”, conclude
Frumkin, “o forse tendono a orientare le proprie ricerche verso
progetti più redditizi: è più facile
arricchirsi progettando nuovi farmaci che invitando le persone a
coltivare un giardino…”.
Abigaille Barneschi
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