
La sostenibilità è un concetto che si presta a molteplici interpretazioni e declinazioni. Chiarirne il perimetro è fondamentale per garantirci un futuro.
Il buco dell’ozono si richiuderà entro i prossimi 50 anni, lo ha dichiarato il segretario generale dell’Onu Ban Ki-moon.
16 settembre 1987: in questa data veniva firmato, a Montreal, un
documento che metteva al bando i
clorofluorocarburi (Cfc), gas ritenuti i
principali responsabili della distruzione dello strato di ozono
sopra i Poli terrestri e che all’epoca erano comunemente utilizzati
nei frigoriferi e nei condizionatori. Il trattato è stato
finora ratificato da 196 nazioni, cinque in più rispetto al
Protocollo di Kyoto.
A distanza di 25 anni anni, le notizie sono positive: Ban
Ki-moon, segretario generale dell’Onu, nel messaggio di domenica
alla comunità internazionale, ha affermato che sarà
possibile “riparare” il buco dell’ozono entro i prossimi 50 anni,
anche se è necessario consolidare i risultati finora
raggiunti e continuare a impegnarsi per rispettare l’obiettivo di
eliminare il 98 per cento dei gas nocivi.
L’ozono atmosferico, diversamente da quello “a terra”, risulta
fondamentale per la vita sul pianeta: la sua funzione è
quella di assorbire le radiazioni ultraviolette emesse dal Sole
prima che arrivino al suolo, in particolare quelle di lunghezze
d’onda più nocive, per evitare il danneggiamento del Dna
delle cellule. “Milioni di casi di cancro alla pelle e di
cataratta, oltre agli effetti nocivi dei raggi ultravioletti
sull’ambiente, sono stati evitati”, ha inoltre detto Ban Ki Moon
nel suo discorso per l’International Day for the Preservation of the Ozone
Layer.
Secondo gli ultimi dati, le cose vanno “benino” soprattutto in
Antartide: nel 2006 il “buco” era di 29,6 milioni di km quadrati;
cinque anni dopo si è ridotto a 22,6 milioni. Non
così sull’Artico, dove a inizio 2011 c’era stata
un’inaspettata perdita di ozono con un calo del 40% tra l’inizio
dello scorso inverno e la fine di marzo.
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