
13,4 milioni di italiani soffrono di insonnia a causa di ansia, stress, predisposizione genetica e abitudini scorrette. Le soluzioni non mancano.
In inglese il termine stress indica la massima torsione raggiunta da un cavo prima di spezzarsi. Di qui l’idea di stress come resistenza e alleato.
Stress alleato o nemico?
Il primo ad essersi interessato allo stress fu un endocrinologo
canadese, Hans Seyle, che negli anni Trenta pose le basi per una
moderna interpretazione dei meccanismi che provocano questo
malessere. Lo definì “come una risposta non specifica
dell’organismo a tutte le domande che gli vengono poste oppure una
risposta di adattamento a stimoli molto diversi tra loro, chiamati
stressogeni o fattori di stress”.
In inglese il termine stress indica la massima torsione raggiunta
da un cavo metallico prima di spezzarsi. Di qui l’idea di stress
come resistenza. Gli agenti stressogeni possono essere sia di
natura fisica, inquinamento, squilibri alimentari, solo per fare
alcuni esempi che di natura psichica, emozioni represse, censure
sociali, tensioni relazionali ecc…
Tutti conosciamo il senso d’impotenza di fronte ad una situazione
che ci schiaccia, la stanchezza che s’instaura in seguito al
perdurare di pressioni fisiche ed emotive. Eppure la funzione dello
stress nell’universo evolutivo dell’uomo è fondamentale. Una
persona iperprotetta o ripiegata totalmente su di se manca di
capacità di azione e di reazione, al punto che in un
ipotetico mondo senza stress saremmo tutti vittime di un’apatia ai
limiti della letargia. Nel 1962 lo scienziato Ferruccio Ritossa
scoprì che una cellula sottoposta a stress produceva delle
proteine specifiche, le HSP o Heat Shock Proteins, in grado di
proteggerla dallo stimolo nocivo.
Lo stress non è buono o cattivo in base al suo grado di
sollecitazione, ma dipende dalla qualità della nostra
risposta. In altre parole, siamo noi con la nostra capacità
di adattamento all’ambiente, più o meno sviluppata, che
possiamo rendere lo stress buono o cattivo.
Licia Borgognone
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