Lykke Li – Wounded Rhymes

Dalla Svezia arriva Likke Li con il disco Wounded Rhymes.

Suoni di batteria sconquassanti. Ritmiche marcate da due, tre,
quattro percussioni. Un organo da fine del mondo. Una voce fragile
e tormentata che canta d’amore in modo seducente e ossessivo.
«Link Wray più Ethiopiques più le
Shangri-Las». Lei si chiama Lykke Li, 25 anni, svedese,
acclamata oltre misura per l’esordio acerbo di tre anni fa, Youth
Novels. Questo Wounded Rhymes è meglio, molto meglio. Sta nella terra di
nessuno fra pop, canzone d’autore e underground.

Spiazza e piace a tutti, da Pitchfork a Vanity Fair. Lei è
brava, ma soprattutto originale. Scrive testi evocando un mondo
d’afflizioni sentimentali che non è niente di nuovo, ma che
risuona in modo inusuale carico com’è di una
femminilità esuberante.

«Sono la tua prostituta», canta in Get Some su un ritmo
impressionante che potrebbe avere inventato Bo Diddley dopo un giro
con le ragazze di Grindhouse. Anche Sadness Is A Blessing è
spiazzante, ma in un’altra maniera: è un pezzo da girl group
anni 60, col suo candore melodico usato per affermare che «la
tristezza è una benedizione». Wounded Rhymes è
eloquente sia quando sbatte in faccia strati di suoni, sia quando
sembra cantato e suonato sulla Luna.

I cori sono di Mariam Wallentin di Wilbirds & Peacedrums, il
make up sonoro è firmato dal produttore Björn Yttling,
quello di Peter Björn & John, anche co-autore di tutti i
pezzi: è bravissimo nell’architettare timbriche inusuali e
suoni distorti, cavando da strumenti tradizionali ambientazioni
sonore vivide, stranianti. E modernissime.

Claudio Todesco

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