Fin dove può arrivare la marea?

Un gruppo di scienziati sta cercando di scoprire fino a che punto potrebbe salire il livello degli oceani in seguito all’aumento della temperatura causato dall’incremento delle emissioni di CO2.

Dopo aver viaggiato per chilometri su strade polverose, a
bordo di una roulotte, alla ricerca di vecchie spiagge
nell’entroterra del Sudafrica, Paul Hearty è rimasto
folgorato da un oggetto bianco ai bordi dello sterrato: un fossile
di conchiglia. Secondo le strumentazioni satellitari si trovava a
più di undici chilometri dalla costa e a circa venti metri
sul livello del mare. Una scoperta utile a stabilire fino a che
punto potrebbe salire il livello degli oceani a fronte di un
aumento della temperatura di due, tre gradi Celsius, come previsto
dalla maggioranza dei climatologi e dovuto a un incremento delle
emissioni di CO2 causate dalle attività dell’uomo.

 

Alla ricerca delle prove

Paul fa parte del gruppo di geologi, guidati da Maureen Raymo della
Columbia
University
, negli Stati Uniti, che sta conducendo una ricerca
finanziata dalla National science foundation, un’agenzia governativa
per la ricerca scientifica e ingegneristica. Il progetto ha portato
il team a lavorare in diversi contesti, paesi e continenti:
Sudafrica, Australia, Stati Uniti orientali. Justin Gillis, un
reporter del New York Times specializzato nella questione
climatica, ha raccontato in un articolo intitolato How high could the tide go? (Quanto può
arrivare in alto la marea?) come si svolge una spedizione
tipica.

 

Una delle cose più difficili per la comunità
scientifica è far capire all’opinione pubblica e ai governi
che è fondamentale agire adesso per salvaguardare le
generazioni future. Questa ricerca potrebbe aiutarla nell’intento
perché non si limita a fare previsioni, ma ha l’obiettivo di
mettere insieme una serie di prove che dimostrano che quanto
previsto si è già verificato in passato.

 

Chi è il paleoclimatologo

La Terra ha conosciuto diversi periodi caldi nella sua storia,
tutti dovuti a fenomeni naturali, che hanno portato a cambiamenti
climatici importanti come lo scioglimento di lastre di ghiaccio ai
poli e l’innalzamento del livello dei mari. Questo è uno
degli argomenti a cui gli scettici fanno più spesso
riferimento, ma gli scienziati, al contrario, pensano che il
riscaldamento globale causato dall’uomo possa sortire gli stessi
effetti.

 

Secondo Richard Alley, uno dei climatologi di punta della
Pennsylvania State
University
“è assolutamente inequivocabile che la natura
sia cambiata in passato, ma sembra che ora si stia andando incontro
a qualcosa di più grande e più veloce di quanto la
natura abbia mai esperito finora”.

 

I paleoclimatologi, gli scienziati che studiano la storia del
clima, orientano le loro ricerche sulle variazioni dell’orbita
terrestre che hanno causato un raffreddamento o un riscaldamento
dell’atmosfera che, a loro volta, hanno portato a un innalzamento o
a un calo del livello dei mari. L’anidride carbonica (CO2), il
principale gas ad
effetto serra, gioca un ruolo cruciale in tutto questo
perché quando i cambiamenti dell’orbita hanno causato un
clima più freddo, una grande quantità di CO2 è
stata assorbita dagli oceani riducendo ulteriormente l’effetto
serra, e quindi la temperatura. Al contrario, un aumento del calore
ha portato a un rilascio della CO2 da parte degli oceani
accelerando, ad esempio, la fine di un’era glaciale.

 

La soglia dei 400 ppm

La CO2 quindi risulta essere l’elemento principale nella
variazione del clima sulla Terra. L’ultima volta che la sua
concentrazione in atmosfera ha raggiunto un livello simile a quello
previsto per i prossimi decenni risale al Pliocene, da tre a cinque milioni di anni fa, quando
toccò le 400 parti per milione (ppm).

 

In quel periodo, secondo il gruppo guidato da Raymo, le
spiagge in Australia e negli Stati Uniti orientali si trovavano a
un’altezza compresa tra i 10 e i 90 metri sul livello del mare. Nel
Nord America l’acqua sommergeva circa 140 chilometri di coste verso
l’entroterra. Ovviamente una piccola parte di questa differenza
è dovuta al fatto che le terre emerse si sono spostate nel
corso degli ultimi tre milioni di anni. Un aspetto da non
sottovalutare anche per il futuro.

 

Il punto più alto

La speranza di Raymo e della sua squadra è quella di
arrivare a scoprire ciò che loro definiscono “pliomax”,
ovvero il punto più alto mai raggiunto dal livello dei mari.
Se la ricerca avrà successo, potrebbe dare agli scienziati
un dato reale sulla previsione peggiore possibile, cioè nel
caso in cui la temperatura dovesse salire oltre le ipotesi
già a partire da questo secolo. Ma lo studio lascia senza
risposta un’altra questione: quanto velocemente potrebbe accadere
tutto questo?

 

Oggi i climatologi sono concordi nel ritenere che il livello
dei mari possa salire di uno, due metri nel giro di ottant’anni
costringendo all’evacuazione milioni di persone che vivono sulle
coste. Ma questo fenomeno continuerà anche nel prossimo
secolo e in quelli a venire. La speranza è che avvenga
lentamente così da dare la possibilità all’uomo di
avere il tempo di adattarsi e di sviluppare nuove tecnologie che
non producano CO2. “L’unica certezza – conclude Raymo – è
che il clima ha dimostrato di essere più sensibile di quanto
pensassimo”.

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