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Mathis Wackernagel: “Il futuro si gioca sulla capacità ecologica”
Mathis Wackernagel, l’inventore dell’Impronta Ecologica, ci parla dell’Italia, del futuro e di cosa possono fare i cittadini per ridurre l’impatto e salvare il pianeta.
Mathis Wackernagel è studioso che insieme a William E. Rees ha sviluppato un sistema per quantificare la natura che consuma una città o un paese. Consumare natura significa usufruire di quello che la natura riesce a produrre, tipo cibo ed energia, e di quello che riesce ad assorbire, tipo rifiuti o CO2. Nel sistema di Wackernagel il consumo complessivo viene chiamato Impronta Ecologica.
Cos’è l’impronta ecologica di Mathis Wackernagel?
Secondo i calcoli fatti con la popolazione globale del 2001, ogni persona ha a sua disposizione la biocapacità 1,8. Ovvero, se consuma più di quanto possono produrre e assorbire 1,8 ettari di terreno, nuoce all’equilibrio della natura.
Durante una giornata di lavoro organizzata a Milano da Rete Lilliput, in collaborazione con la Provincia e le 21 Agende locali italiane, abbiamo incontrato Mathis Wackernagel che ci ha illustrato la situazione italiana, dandoci anche qualche utile consiglio su come diminuire la propria impronta ecologica.
L’impatto ecologico dell’Italia è più basso di quello della Spagna e della Grecia. Cosa facciamo meglio di loro?
In effetti è leggermente più bassa di tutta la media europea. In Italia le città sono più dense, quindi c’è meno strada da fare, gli appartamenti sono un po’ più piccoli e quindi hanno un consumo energetico minore, anche se per esempio in Germania l’efficienza energetica delle case è doppia rispetto all’Italia. Nonostante questo gli Italiani per essere in pari tra consumo e biocapacità del loro territorio, avrebbero bisogno di quasi 4 Italie e se tutto il mondo vivesse come si vive in Italia, ci vorrebbero due pianeti e mezzo.
L’agricoltura biologica è abbastanza diffusa nel nostro paese, che influsso ha?
Positivo. In effetti c’è una grande differenza nell’impronta ecologica a seconda di come si produce, se con un’elevato consumo di energia come nelle serre, o con fertilizzanti che devono essere prodotti e che inquinano le falde acquifere. A favore di una buona impronta gioca anche il fatto che in Italia si mangia molta pasta e ortaggi e meno carne e prodotti animali che in altri paesi. La Grecia produce molte olive, e l’olio d’oliva consuma molta biocapacità, ha un’impronta ecologica abbastanza alta perché non ne viene fuori una grande quantità a ettaro.
Come persona singola si ha la possibilità di tener bassa l’impronta ecologica?
Certamente. Un mio amico negli USA ha fatto la scommessa di riuscire a vivere con la biocapacità di mezzo ettaro. Attualmente è arrivato a circa un ettaro: consuma pochissima energia fossile, gira sopratutto in bici, mangia biologico del posto, è vegetariano, ha una casa costruita con materiali naturali e coibentata molto bene, compra pochissimi vestiti nuovi. Nonostante abiti in Vermont, uno stato molto freddo, riesce a vivere felicemente con un’impronta leggera.
Che priorità deve mettere chi decide di diminuire la propria impronta ecologica?
Ognuno deve capire dove consuma di più e intervenire lì. Sicuramente mangiando meno carne e formaggio migliora già qualcosa.
Cosa pensi del Protocollo di Kyoto?
Ho appena fatto un giro di conferenze in Russia, sono contentissimo che abbiano firmato. Naturalmente il Protocollo di Kyoto non basta per dare una svolta vera, ma l’adesione significa che politicamente è stato riconosciuto che si devono prendere dei provvedimenti in modo accettabile per tutte le parti, che nelle amministrazioni si parla e si discute come risolvere problemi ambientali.
Trovi che la coscienza ambientale sia aumentata?
La coscienza non porta a niente secondo me. Distinguerei tra coscienza e cultura. Se c’è cultura ambientale un’amministrazione pubblica riesce a parlare di limiti ecologici. Se c’è solo coscienza e non cultura è facile che venga negato il collegamento tra quello che si decide di fare e lo stato reale dell’ambiente. Il guaio è che per risolvere i problemi si costruiscono nuove case, nuove strade, nuovi ponti ecc., sempre con l’idea dell’espansionismo. Si tratta di capire di volta in volta come possiamo agire, risolvere problemi e soddisfare i bisogni senza espandere. Questo è difficile, ma sicuramente più facile che vivere su un pianeta inaridito dallo sovrasfruttamento. La cultura dell’ambiente deve diffondersi tra le amministrazioni pubbliche, negli uffici tecnici, insomma nei luoghi dove si decide.
Che caratteristiche avrà un paese moderno nel prossimo futuro?
Più che il grado di sviluppo si misurerà la sicurezza. Un paese con una capacità ecologica come la Svezia ha più possibilità per organizzarsi che paesi che comprano molte risorse da altri. Quest’ultimi avranno più problemi e meno controllo sulla propria sicurezza e benessere. Quindi i paesi con buona capacità ecologica saranno avvantaggiati rispetto agli altri. L’energia da risorse rinnovabili aiuterebbe molto. Barcellona per esempio ha introdotto una legge che obbliga di fornire le nuove costruzioni con cellule solari. Una decisione semplice che dovrebbe prendere anche l’Italia. E’ assurdo che in un paese dove molti mesi all’anno fa molto caldo si faccia la doccia con acqua riscaldata con il metano!
Come vedi l’andamento attuale del mondo?
Ci sono tante cose in ballo e l’interesse per l’ambiente cresce continuamente. Il presidente francese Chirac che è un politico conservatore, si interessa dell’Impronta ecologica, c’è il Protocollo di Kyoto, il mondo dei scienziati ammette ormai compatto che ci sono dei problemi da affrontare. Forse tutto procede un po’ lento ed esiste un conflitto tra diverse visioni sulla crescita, ma si possono notare dei grandi cambiamenti. 30 anni fa il concetto dei limiti ecologici era un’ipotesi, oggi è assolutamente accettato, si tratta soltanto di mettersi d’accordo come realizzarli. Le idee ci sono già tutte. Quando capiamo che l’uso delle risorse è il più grosso dei problemi e cambiamo le priorità di conseguenza, il mondo potrebbe cambiare rapidamente. Basta vedere con che velocità si trasformano le economie durante le guerre, per esempio gli USA si sono trasformati da economia di consumo in economia di guerra negli anni 40. Quando c’è necessità si riesce a cambiare con grande velocità.
I problemi sono quindi risolvibili?
La domanda è se si riesce ad arrivare a uno standard accettabile. E’ una questione di volontà. Non è moralmente meglio se cambiamo rotta, ma è decisivo per il nostro benessere, è un problema totalmente pragmatico. E’ nell’interesse di ogni nazione proteggere le proprie risorse naturali, non ne possiamo fare a meno.
Rita Imwinkelried
Immagine di copertina: Mathis Wackernagel durante un talk. ©gettyimages.com
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