
La società elettrica che soddisfa la domanda nel 95% delle Hawaii ha annunciato un piano per raggiungere la neutralità climatica prima del 2050.
L’anno appena concluso è stato l’annus horribilis per il clima. Il più caldo di sempre (da quando si misura la temperatura) negli Usa, l’ondata di caldo eccezionale in Australia e di freddo in India, l’ultimo uragano che si è abattuto sulla coste atlantiche degli Usa.
Il clima è impazzito?
Impazzito è un termine troppo giornalistico, che io rifuggo.
Perché impazzisce un giorno, poi quando torna normale allora
è tutto a posto. La grande sfida invece è quella di
lavorare sui dati che abbiamo, su ciò che conosciamo facendo
sì che queste visioni di un futuro che non ci piace, possano
essere corrette con le nostre azioni, che però esigono una
forte consapevolezza delle persone e sopratutto della politica.
Proprio l’ultima conferenza sul clima tenutasi a Doha
è stata un mezzo passo indietro.
Finché gli Usa non prendono una grossa posizione tutto
è in stallo. Ecco perché in sostanza è fallita
la diciottesima Conferenza delle Parti (COP 18). Ecco perché
l’Europa, che ha uno schema all’avanguardia su questi temi, ne
è invece perfettamente consapevole. È normale
discutere di questi problemi anche al Parlamento europeo.
C’è una strategia di adattamento europea sui cambiamenti
climatici, non c’è più nessuno che ne nega
l’esistenza.
Gli Stati Uniti come fulcro della
politica del clima quindi?
Purtroppo l’America non riesce a fare quel salto di cui tutti
avremmo bisogno. E questo nonostante abbia i migliori centri di
ricerca e riesca a finanziare le migliori ricerche sul clima.
Questa scienza ai massimi livelli però, quando arriva alla
politica, non riesce ad influenzarla, anzi. Ci sono ancora lobby
potentissime che sono in grado di pagare dei think tank in grado di
mettere in difficoltà gli stessi ricercatori. Basta citare
il ‘Climate Gate’, tutta una montatura creata nel 2009 a Copenaghen
che ha visto tutti i ricercatori scagionati dopo ben tre
inchieste.
La leva economica, i miliardi di dollari di danni che ogni anno
vengono spesi a causa di eventi estremi, non potrebbero aiutare ad
invertire la rotta?
Mi chiedo perché non funzioni. Primo probabilmente
perché non si vede la correlazione diretta. La seconda cosa,
che mi stupisce, è un’altra: perché non usiamo le
leva economica rispetto alle azioni positive che ci aiutano a
diminuire le emissioni e a spendere meno. L’efficienza energetica
nella casa e nella mobilità, ad esempio. Qui si tratta del
mio portafoglio, si tratta di usare meglio le risorse che abbiamo e
che costano sempre di più.
L’altra grossa potenza che manca all’appello è la
Cina. Basti pensare all’ultima notizia che ci è pervenuta in
questi giorni dell’incredibile coltre di smog che avvolge Pechino,
per capire quanto il colosso d’oriente giochi un ruolo
importantissimo nella diminuzione delle emissioni.
La Cina ha enormi problemi ambientali in casa e quindi è
ovvio che stan cercando di capire come risolverli. Allo stesso
tempo brucia i copertoni pur di fare energia. Certamente non
è un modello, anche se la stimo molto di più che gli
Stati Uniti. Intanto devono mangiare, mentre negli Usa sono obesi.
E qui il ruolo dell’America torna fondamentale perché i
cinesi copiano gli Usa. Finché non c’è un gran passo
etico del Stati Uniti il modello resta quello.
Qual è la sua visione quindi?
Non riesco più a capire cosa si possa fare. Forse ci
vogliono più uragani come quello di New York per svegliarci.
Ormai con la cultura e il buonsenso si è arrivati fin qui,
l’Europa lo ha dimostrato. Invece si è scelto di aspettare
il 2015.
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La società elettrica che soddisfa la domanda nel 95% delle Hawaii ha annunciato un piano per raggiungere la neutralità climatica prima del 2050.
Conferenza stampa del Presidente Usa, Rose Garden della Casa Bianca, 25 giugno 2009.
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